cosedagarante, Rassegna Stampa ed Eventi, RassegnaStampa

Dietro gli accordi tra editori e AI c’è un enorme problema di privacy

Milano Finanza

#cosedagarante | Da Le Monde al Financial Times, da Axel Springer ad Associated Press, dal Wall Street Journal e New York Post al The Times e The Sun, dagli USA all’Europa è già lungo l’elenco degli editori che hanno ceduto alle lusinghe di OpenAI o, più semplicemente, al denaro di OpenAI e stanno licenziando a questa ultima i propri contenuti.

Pecunia non olet, dicevano, d’altra parte i latini e gli affari sono affari.

Bene, quindi, per molti anche vendere i propri contenuti a chi intende dichiaratamente utilizzarli – e lo sta già facendo – per produrre e far produrre altri contenuti, addirittura concorrenti, rispetto a quelli degli editori che glieli vendono.

Opportuno o non opportuno?

È scelta di business.

Ma anche di diritto perché, naturalmente, gli editori non possono disporre di ciò che non appartiene loro.

Qui la questione diventa più complicata.

Gli editori stanno licenziando a OpenAI accordi di licenza con i quali autorizzano lo sfruttamento commerciale dei diritti d’autore che assumono di vantare contenuti pubblicati per averli acquisiti dagli autori.

E ecco un primo problema: siamo certi che, in tutto il mondo, da sempre, gli editori abbiano acquistato dai giornalisti e dalla pletora di soggetti diversi (editorialisti, lettori, richiedenti la pubblicazione di annunci legali, investitori pubblicitari per i redazionali) anche i diritti d’autore su una forma di sfruttamento commerciale – l’addestramento degli algoritmi – che, sino a qualche anno fa, semplicemente non esisteva?

Questione spinosa affrontata, sin qui, forse, con un po’ troppa superficialità sia dagli editori che dai regolatori, quasi che si trattasse solo ed esclusivamente di soldi e di business e non anche di diritti e di persone in carne ed ossa.

Ma dietro agli accordi tra editori e fabbriche di algoritmi c’è anche un’altra questione ancora più complicata.

Gli articoli di giornale e, più in generale, i contenuti presenti nelle edizioni digitali dei giornali contengono una quantità infinita di dati personali riconducibili a miliardi di persone: i protagonisti delle storie di cronaca, i destinatari di provvedimenti giudiziari oggetto di pubblicità legale, i soggetti dei milioni di contenuti provenienti dai social rimbalzati per le ragioni più diverse sulle pagine dei giornali, i firmatari delle lettere dei lettori e i lettori che chiedono consigli agli esperti che rispondono sulle pagine dei giornali e tanti di più.

Su questi dati personali l’editore di un giornale non vanta alcuna forma di “proprietà”.

Non sono suoi contenuti ma può trattarli, generalmente senza bisogno del consenso delle persone alle quali questi dati si riferiscono, esclusivamente nell’esercizio del diritto di cronaca o perché richiesto di pubblicarli da un soggetto pubblico o privato che lo paga a questo fine o per una serie di altre finalità più o meno variegate.

E qui il secondo problema: a che titolo un editore può vendere questa montagna di dati a OpenAI o ai concorrenti di questa ultima?

Che ne pensate?

Avevo iniziato a scriverne qualche giorno fa su Agenda Digitale e ci sono tornato oggi, con qualche considerazione in più, su Milano Finanza.