È una guerra animata e animosa quella appena scoppiata tra i signori incontrastati dell’animazione globale e Midjourney, campione planetario dell’intelligenza artificiale generativa per immagini.
Matite contro algoritmi si potrebbe dire in una sintesi di impatto ma imperfetta perché evidentemente è da tempo che gli algoritmi danno una mano anche all’esercito delle matite.
La sigla e ne parliamo.
L’oggetto del contendere è rappresentato dal fatto che Midjourney, una delle società leader nel mercato dei servizi basati sull’intelligenza artificiale generativa specializzata nella generazione di immagini avrebbe prima addestrato i propri algoritmi dando loro in pasto l’intera produzione creativa, tra l’altro di Disney e Universal e, quindi, oggi, a richiesta dei suoi milioni di utenti in tutto il mondo, genererebbe ogni genere di immagine con lo stile dei campioni di incassi dell’animazione dai Simpson a Cars, passando per Toy Story e i Minion di Cattivissimo me.
È semplicemente plagio dicono e scrivono con una sola voce e una sola penna Disney e Universal, semplicemente cannibalismo del lavoro dei nostri creativi e parassitismo rispetto agli investimenti enormi che abbiamo sin qui affrontato per far sprigionare il genio creativo dei nostri disegnatori.
Secondo le due società, Midjourney, lo scorso anno, avrebbe guadagnato oltre 300 milioni di dollari proprio salendo sulle loro spalle senza chiedere permesso e men che meno pagando un giusto prezzo per vendere ai propri utenti un servizio che in assenza dello sfruttamento non autorizzato del loro patrimonio autorale non avrebbe mai potuto offrire.
E, sempre stando al suono di una delle due campane, MidJourney, pure ripetutamente richiesta di fermarsi, non lo avrebbe fatto.
L’altra campana deve ancora suonare anche se è facile immaginarne ritmo e melodia: il riferimento sarà certamente al famoso fair use, la più utilizzata – dai giganti dell’intelligenza artificiale generativa – tra le eccezioni al copyright, un’eccezione che permette talune forme di sfruttamento dell’altrui patrimonio autorale senza bisogno di permessi e men che meno di pagare il prezzo di una licenza.
Ma è questo il caso?
Toccherà ora ai giudici dirlo.
È una battaglia epica, anzi, epocale della quale un mercato ormai divenuto enorme attende l’epilogo.
E sullo sfondo della questione tutta basata sul diritto d’autore, si iniziano a intravedere i tratti, di una battaglia nella battaglia: ma non sarà che lo stile di un’opera dell’ingegno è anche un dato personale dell’autore dell’opera medesima e che, quindi, chi lo usa, in effetti, tratta anche dati personali altrui con tutto ciò che ne consegue in ordine all’esigenza di rispettare le regole sulla protezione dei dati personali?
Ce n’è di più di quanto sta nella tazzina di un espresso e, quindi, per ora mi fermo qui.
Buona giornata e, naturalmente, #goodmorningprivacy!