GOOD MORNING PRIVACY! | Come regoliamo l’era del cambiamento?

Ieri abbiamo celebrato, con un giorno di ritardo, la Giornata Europea della Privacy. Tra i temi affrontati, una sfida più urgente delle altre: come governiamo quella che abbiamo definito e che in effetti credo sia l’era del cambiamento? Mi sembra una riflessione utile anche per il nostro caffè del mattino.

Il mio punto di partenza è stato ieri e resta oggi il fattore tempo.
L’innovazione corre sempre di più e la regolamentazione la insegue, talvolta, arranca.
Ci sono voluti sessantadue anni perché cinquanta milioni di persone utilizzassero un’automobile per spostarsi, sessanta perché avessero un telefono a casa, quarantotto perché disponessero dell’elettricità e ventidue perché possedessero un televisore.
Il computer, per conquistare lo stesso pubblico di cinquanta milioni di persone ci ha messo quattordici anni, il telefonino dodici e Internet sette.
ChatGPT, il servizio online basato sugli algoritmi di intelligenza artificiale generativa di OpenAI che, ormai – ma forse bisognerebbe dire già – conosciamo tutti, in meno di due mesi ha raggiunto cento milioni di utenti attivi mensili, il doppio di quelli raggiunti da YouTube in quattro anni.
Ora vedremo quanto ci impiegherà DeepSeek, l’emulo cinese di ChatGPT, nei cui confronti abbiamo appena aperto un’istruttoria.

Sono numeri che mi sembrano sufficienti a raccontare la costante e inarrestabile accelerazione del ritmo di diffusione di prodotti e servizi che hanno indiscutibilmente cambiato significativamente le nostre vite e avuto un impatto rivoluzionario sulla società.
Un impatto sempre più rapido, un impatto che all’inizio si misurava in decenni, poi in anni, quindi in mesi e oggi in settimane.
Senza dire che le innovazioni di oggi sono straordinariamente più complesse di quelle di ieri e hanno un impatto enormemente più trasversale sulla società.

Non c’è paragone, tanto per fare un esempio, tra l’unica funzione di un telefono fisso di ieri che serviva solo per parlare con un interlocutore a distanza e le migliaia di possibili funzioni di uno smartphone, anche di non più nuovissima generazione, nel quale la funzione di comunicazione vocale è, ormai, diventata quasi residuale rispetto a tutte le altre possibili forme di impiego.
E questo, naturalmente, vale anche – e anzi a maggior ragione – per i nuovi servizi basati sull’intelligenza artificiale, utilizzabili in migliaia di modi diversi per risolvere o, almeno, provare a risolvere centinaia di migliaia di problemi nel quotidiano personale e professionale di ciascuno di noi così come questioni epocali con le quali la società globale si confronta da secoli.

Questa accelerazione del ritmo dell’innovazione tecnologica, dunque, rappresenta, a mio avviso, uno dei fattori più rilevanti da tenere presente nell’interrogarci sulle forme e i modi con i quali provare a governare l’era del cambiamento perché sappiamo tutti che la migliore delle regole se non è tempestiva è irrilevante nel migliore dei casi, e controproducente nel peggiore.
Quando nella seconda metà dell’800 le prime auto hanno iniziato a circolare sulle strade inglesi, il Parlamento varò il c.d. Red Flag Act, datato 1865, una legge che imponeva un limite di velocità di 3,2 chilometri orari e, soprattutto, stabiliva che un uomo, con una bandiera rossa in mano, dovesse precedere ogni automobile di circa 55 metri per segnalare il pericolo.
Il Red Flag Act rimase in vigore per oltre trent’anni, fino al 1896.

Mi sembra abbastanza evidente che la migliore delle regole con la quale oggi volessimo provare a governare una tra le infinite applicazioni dell’intelligenza artificiale non potrebbe mai avere una vita tanto lunga perché diventerebbe immediatamente obsoleta e rischierebbe di ritrovarsi abrogata per desuetudine come sarebbe accaduto al Red Flag Act se a qualche mese dalla sua entrata in vigore le macchine avessero cominciato a volare, non potendo, più, evidentemente, lo sbandieratore precederle in volo. Questo è il contesto che abbiamo oggi davanti.

E, probabilmente, non abbiamo ancora visto nulla perché a me pare evidente che la nuova corsa agli armamenti – perché non so definirla diversamente – dell’intelligenza artificiale in atto tra America e Cina imprimerà al ritmo dell’innovazione un’ulteriore accelerazione.

Non ho risposte definitive al problema ma, personalmente, credo che dovremmo avere il coraggio di modificare radicalmente approccio rispetto al passato, smettere di pretendere di disciplinare a livello di dettaglio taluni fenomeni e delegarne la governance, sulla base di una manciata di criteri di delega stringenti nel metodo più che nel merito, alle Agenzie e Autorità indipendenti.
Solo così, forse, possiamo sperare di scongiurare il rischio di continuare a prevedere per legge che uno sbandieratore cammini davanti alle automobili per avvisare del pericolo quando le automobili ormai volano.

Cambiamo il modo di scrivere le regole ma non rinunciamo, come qualcuno inizia a suggerire, a scriverle, non rinunciamo a regolare l’innovazione cadendo nel tranello di chi vorrebbe farci credere che le regole frenano l’innovazione.
Non è vero.

Al contrario le regole – ovviamente a condizione che siano quelle giuste e soprattutto che arrivino in tempo – orientano e promuovono l’innovazione spingendola nell’unica direzione nella quale è giusto che vada la massimizzazione del benessere collettivo e la maggiore possibile distribuzione delle opportunità che offre.

Rinunciare a regolamentare l’innovazione, significa lasciare che la tecnologia diventi regolamentazione e che la società sia governata da software, algoritmi e interfacce progettati e disegnati in nome di interessi privati di pochi, normalmente orientati prevalentemente al profitto.
Significa insomma lasciare che la tecnocrazia abbia la meglio sulla democrazia.
È, probabilmente, tra gli scenari più pericolosi con i quali siamo chiamati a confrontarci in questa Era del cambiamento.

Come sempre buona giornata e, naturalmente, good morning privacy!