GOOD MORNING PRIVACY! | E se i nostri figli ci dicessero che siamo stati incoscienti?

L’altro giorno sono stato assalito da un incubo a occhi aperti pensando a come crescevamo, da bambini, negli anni ’70 e che spesso mi viene da considerare incoscienti e irresponsabili i miei pure prudentissimi – forse anche troppo – genitori.
E allora cosa penseranno le mie figlie di me e, magari, più in generale, i nostri figli di noi?
Perché oggettivamente, nella dimensione digitale li stiamo esponendo a rischi non proprio di poco conto.
L’incubo ha generato un pezzo pubblicato ieri su Specchio de La Stampa.
Dopo la sigla vi riassumo la riflessione perché è dolorosa ma potrebbe essere utile.

Negli anni ’70 bambini abbiamo viaggiato in macchina su un’amaca sospesa agganciata da un lato all’altro dei sedili posteriori.
A ogni buca, frenata o curva rischiavamo di finire fuori dal finestrino o di rimbalzare sul sedile e carambolare sui tappetini dell’auto.
E l’amaca in questione non era un aggeggio fatto in casa ma l’ultimo gadget per il benessere dei bambini prodotto e venduto da un’azienda tuttora leader nel settore della prima infanzia.
Vedere oggi la pubblicità dell’epoca di quell’amaca mette i brividi.
I nostri genitori erano irresponsabili, incoscienti, criminali?
Può darsi.
D’altra parte, le auto nelle quali si appendeva quell’amaca, non avevano cinture di sicurezza, non montavano airbag, non disponevano di barre d’acciaio per la protezione di conducente e passeggeri lungo le portiere e uscivano dalle fabbriche per finire sul mercato e sulle strade senza aver superato nessuno – o quasi nessuno – dei test con i quali oggi i costruttori sono tenuti, per legge, a dimostrarne la sicurezza.
Voltarsi indietro è un esercizio che, forse, vale la pena fare non per celebrare un processo alla storia ma, al contrario, per provare a sottrarci a un processo della storia.
Se oggi a guardare all’amaca per far dormire i bambini in viaggio e alle automobili prive di qualsiasi dispositivo di sicurezza noi etichettiamo quel passato come età dell’incoscienza, dell’irresponsabilità, forse qualcuno potrebbe persino dire della barbarie, cosa penseranno del nostro presente e di noi i nostri figli?
Difficile dirlo ma potrebbero, anzi, potranno e ne avrebbero, anzi avranno motivo quando si renderanno conto – e accadrà molto più in fretta di quanto ci abbiamo messo noi a arrivare a giudicare tanto severamente quel passato – che abbiamo pubblicato la loro prima foto online quando non erano ancora nati, sbattendo sui nostri profili social la loro ecografia, per poi proseguire con la foto del primo bagnetto, del primo compleanno, del primo giorno di scuola e rendendoli così personaggi pubblici senza che ce lo chiedessero e dandoli in pasto a miliardi di persone e a un esercito di algoritmi bulimici di ogni genere di contenuto personale e capaci di consentire a chiunque di trasformare la più innocente delle fotografie di un bambino in un’orrifica produzione pedopornografica.
E quando ricorderanno che non camminavano ancora quando li abbiamo lasciati, talvolta anche da soli, davanti allo schermo di un tablet, babysitter globale di questa epoca, esponendoli a una dipendenza ormai scientificamente conclamata o che li abbiamo aiutati,
a otto, nove o dieci anni a diventare utenti tanto attivi quanto inconsapevoli di servizi e piattaforme che gli stessi gestori dichiarano vietati a infratredicenni, salvo poi lasciare entrare chiunque purché dichiari di avere almeno tredici anni.
E questa è solo la crosta, grattando sotto la quale, nel giro di qualche anno, chi si volterà a guardare indietro si renderà conto che un intero sistema valoriale culturale, etico e giuridico ultrasecolare è stato immolato sull’altare di una rivoluzione tecnologica della quale siamo stati velocissimi – non per merito nostro ma per le spinte irresistibili del mercato – a capire i vantaggi e lentissimi – anche nei pochi casi in cui è avvenuto – a capire il costo.
E a quel punto?
Difficile dire se i nostri figli consegneranno quest’età alla storia come l’età dell’incoscienza tecnologica e noi come incoscienti e irresponsabili digitali per la straordinaria superficialità con la quale, da adulti, da insegnanti, da rappresentanti delle Istituzioni, da decisori pubblici, manager e capitani d’industria abbiamo gestito e continuiamo a gestire la rivoluzione tecnologica.
Ma è possibile che sarà così e, forse, ce lo meriteremmo e, anzi, ce lo meritiamo certamente.
Per ora, ma solo per ora, buona giornata, se volete cercate online l’articolo su Specchio de La Stampa e, in ogni caso, good morning privacy!

La Stampa – Specchio: Siamo noi i peggiori genitori di sempre? – Intervento di Guido Scorza – Garante Privacy