Ho appena finito di leggere il Rapporto annuale ISTAT 2025 e tra tante cose che non vanno bene per il nostro Paese ce n’è una che, per materia, mi preoccupa più delle altre e che credo meriti questo caffè insieme.
Sto parlando delle competenze digitali ma, forse, dovrei dire, delle diffuse incompetenze digitali italiane.
Ne parliamo dopo la sigla.
L’intelligenza artificiale avanza e pervade ogni settore della nostra vita, dalla dimensione personale a quella professionale, da quella commerciale a quella democratica.
È un dato di fatto ineludibile, è un dato di fatto evidente, tangibile, empiricamente dimostrabile e dimostrato nel nostro quotidiano.
Da quando ci svegliamo a quando andiamo a dormire tutto è o, a voler esser ottimisti, si avvia a essere etero diretto a mezzo algoritmi.
La società è sempre più digitale e conoscere il digitale, almeno nei suoi rudimenti è sempre di più un pre-requisito di cittadinanza irrinunciabile.
Chi non ha un livello di adeguate competenze digitali è un cittadino di serie B, anzi, peggio, è una persona di serie B, perché l’impatto di questo deficit di competenze si abbatte senza pietà in ogni ambito della nostra vita.
Eppure l’Italia non ce la fa, non ce la facciamo a capire per davvero questo principio elementare e a correre ai ripari con la determinazione e l’urgenza che servirebbero.
L’ultimo rapporto ISTAT lo certifica in maniera impietosa.
“Le competenze digitali giocano un ruolo fondamentale nel favorire la transizione digitale e al tempo stesso contrastare l’emergere di divari che possano compromettere l’equità e l’inclusione sociale. Il programma strategico UE per il decennio digitale ha tra l’altro l’obiettivo, da raggiungere entro il 2030, di portare all’80% la quota della popolazione di età compresa tra 16 e 74 anni con almeno competenze digitali di base.
Nel 2023, tale quota si attesta a poco più della metà 55,5% nella media dell’UE 27% e l’Italia con il 45,8% – solo il 45,8% – si colloca al ventiduesimo posto della graduatoria”.
Lo leggo e lo scrivo riprendendolo letteralmente dal Rapporto ISTAT.
Non sono opinioni, sensazioni, percezioni soggettive.
Lo dicono i numeri.
Questa è la situazione.
Siamo il fanalino di coda di un’Europa che già di suo è indietro rispetto al resto del mondo.
Onestamente davanti a dati di questo genere – che nessuno si offenda – ma ogni altro discorso sul governo dell’intelligenza artificiale, sulle regole, sull’impatto dei nuovi prodigi artificiali sulla società, sulle opportunità che non dobbiamo lasciarci sfuggire, a me sembra da una parte vuoto e superficiale e dall’altra poco consapevole e, forse, persino incosciente.
Prendi la più potente e disruptive tecnologia che l’ingegno umano abbia mai progettato e sviluppato e mettila nelle mani di oltre trenta milioni di persone, la metà della popolazione italiana, completamente a digiuno di qualsiasi competenza digitale di base e il migliore degli scenari possibile sarà quello che si avrebbe se trenta milioni di italiani tutti insieme, senza mai essere saliti su un mono pattino elettrico decidessero di farlo esattamente nello stesso momento nelle vie trafficate della stessa città.
Niente di più pericoloso.
E non basta.
Perché mentre i primi trenta milioni, quelli mai saliti sul monopattino, starebbero a terra a contare le ferite, altri trenta milioni, quelli che hanno avuto la fortuna di imparare a portare il monopattino, sarebbero i primi a arrivare a scuola al mattino, a entrare al lavoro, a mettersi in fila negli uffici pubblici e negli ospedali per esercitare i loro diritti civili e garantirsi una salute migliore.
Questo è, oggi, il Paese nel quale viviamo.
Prima lo capiamo, prima, forse, facciamo un’inversione a “U” e accettiamo l’idea che ciò di cui abbiamo veramente e drammaticamente bisogno – ma domani mattina – è dichiarare guerra all’analfabetismo digitale come nel secondo dopoguerra si fece con quello funzionale.
La migliore delle tecnologie nelle mani di chi non sa usarla è pericolosa per sé e per gli altri e se metà del tuo Paese non sa usarla e quella tecnologia diventa parte integrante dell’infrastruttura di base di quel Paese, il Paese in questione non ha nessuna chance di essere democratico, di essere giusto, di essere equo, né di competere per davvero nella società globale.
Buona giornata, perdonate il caffè amaro e un po’ rumoroso, è naturalmente, good morning privacy, sempre più difficile da proteggere in una società popolata da analfabeti digitali!