LA STAMPA | L’ombra di Musk si allunga su TikTok

La Stampa 15/01/2025 – Di Guido Scorza

Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, il proprietario di X, fu Twitter, secondo alcuni il neopresidente ombra degli Stati Uniti d’America, potrebbe acquistare il ramo d’azienda americano di ByteDance, la società che gestisce TikTok per consentirle di continuare a operare a seguito dell’ormai imminente entrata in vigore della legge che impone alla società cinese di scegliere se vendere o chiudere il socialnetwork negli Usa.

È questa l’ipotesi rimbalzata ieri su Bloomberg News, immediatamente smentita e bollata come «pure fiction» dalla società cinese. Vero o falso? Difficile a dirsi specie tenuto conto della matrice indiscutibilmente politica della decisione di sottrarre TikTok all’ingerenza del governo di Pechino per ragione legate alla sicurezza nazionale, dell’imprevedibilità e spregiudicatezza imprenditoriale di Musk e della sua straordinaria vicinanza al presidente eletto.

Impossibile escludere che la «soluzione politica», nelle scorse settimane evocata da Trump, non passi proprio per l’acquisto da parte del suo sodale delle attività americane di TikTok.

Ma, tutto sommato, che le cose stiano come ipotizza Bloomberg o come sostiene ByteDance, forse, conta poco.

Quello che conta davvero è che nell’America della seconda volta di Trump alla Casa Bianca anche grazie a un inedito e incondizionato appoggio elettorale da parte di un campione digitale globale come Musk e del fulmineo processo di trumpizzazione dell’intero firmamento tecnologico, con tutti i leader delle big tech già andati in processione in Florida a incontrare il presidente eletto, promettendo risorse economiche per la cerimonia del suo insediamento e appoggio per il suo secondo mandato, l’intreccio tra politica e industria tecnologica è tale da rendere verosimili ipotesi come quella in questione.

Al di là delle sorti di TikTok in America è, probabilmente, di questo che dovremmo iniziare a preoccuparci.

Che futuro ci aspetta se, come suggerisce anche il recente «noi stiamo con Trump», pronunciato, in mondovisione, da Mark Zuckerberg nei giorni scorsi, l’intero inner circle delle società tecnologiche dalle quali dipende letteralmente buona parte del mondo – Italia e Europa incluse – smette di essere «solo» un ingombrante oligopolio commerciale e industriale e diventa anche un convinto supporter di un governo già potentissimo come quello americano?

Questo inedito intreccio palese tra politica nazionale e internazionale e big tech è democraticamente e geopoliticamente sostenibile? I giganti dell’ecosistema digitale e della neonata società degli algoritmi custodiscono letteralmente nei loro forzieri le vite di miliardi di persone tradotte in dati personali e, proprio grazie a tale circostanza, dispongono, non da oggi, di un incontenibile potere di manipolazione di massa della coscienza collettiva globale ora asservito – o, almeno, a rischio di essere asservito – al potere politico di Washington.

Quanto valgono i diritti delle persone, dei singoli utenti delle piattaforme digitali in un contesto come quello che si va delineando? Perché l’impressione, anche a guardare all’affaire TikTok con i dati e i contenuti che rappresentano la vita di quasi 180 milioni di persone, trattati come un qualsiasi asset politico-commerciale in negoziazioni, vere, verosimili o presunte, tra governi stranieri e multimilionari signori delle tecnologie, è che il valore dei nostri diritti sia prossimo a toccare i minimi storici.

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