





Secondo uno schema ormai collaudato, questa mattina, Il Fatto Quotidiano ha anticipato il contenuto dell’inchiesta che Report trasmetterà questa sera.
Difficile dire se l’anticipazione sia fedele all’inchiesta, più o meno rigorosa.
E, però, avendo scelto dall’inizio la strada della massima trasparenza tanto con Report che con Il Fatto Quotidiano mi sembra opportuno continuare a percorrerla fino in fondo.
La premessa è sempre la stessa: le inchieste giornalistiche vanno fatte e sono democraticamente importanti e chi fa il mio lavoro deve essere pronto a metterci la faccia e a rispondere a ogni domanda.
E, però, le inchieste devono essere basate sui fatti, quelli veri, raccontati in maniera puntuale e corretta.
Il Fatto Quotidiano online e in edicola oggi anticipa, per quel che mi riguarda, due contestazioni puntuali.
La prima riguarda la circostanza che, secondo Il Fatto, nel corso dell’istruttoria del Garante, sui famosi RayBan Stories, gli occhiali di Meta con la telecamera incorporata, io avrei anticipato il mio punto di vista e, addirittura, “promosso” gli occhiali quasi fossi un’agente commerciale del produttore.
È falso.
Le date e i documenti a disposizione sia de Il Fatto Quotidiano che di Report sono li a dimostrarlo.
Io ho parlato dei Rayban Stories all’indomani del loro sbarco sul mercato italiano nel corso di una puntata di Garantismi, un video-podcast con Matteo Flora, l’11 ottobre 2021 mentre l’istruttoria degli uffici del Garante sugli occhiali è stata avviata il 22 febbraio 2023.
E anche se si volesse assumere a riferimento la data delle prime verifiche informali degli uffici sul nuovo prodotto si potrebbe risalire al massimo all’estate del 2022, un anno dopo il mio podcast.
E sono fatti importanti perché una cosa è dire la propria su un’istruttoria in corso e una cosa è fare, secondo me, il mio dovere, non certamente quello di “promuovere” gli occhiali [nel video dico espressamente che non ho certo comprato l’occhiale per diventarne uno sponsor o un testimonial]ma, al contrario, quello di mettere le persone sull’avviso dello sbarco sul mercato di un prodotto capace di ridisegnare i confini del pubblico e del privato, raccontando ciò che pensavo e continuo a pensare e cioè che non si fosse tanto davanti a un trattamento illecito di dati personali del produttore del dispositivo o del fornitore dei servizi collegati contro il quale reagire a colpi di carte bollate ma davanti a un nuovo fenomeno di consumo che richiedeva una risposta forte di carattere culturale e educativo.
Era e per la verità resta la mia opinione.
Poi che fosse o meno opportuno che io la esprimessi in quel momento, mentre i primi occhiali venivano inforcati dai consumatori italiani è qualcosa di cui si può ovviamente discutere.
Io all’epoca mi sono risposto che non solo era opportuno ma necessario e ho comprato gli occhiali (ovviamente pagando il conto di tasca mia prima che qualcuno pensi male!), li ho provati e ho raccontato i rischi che vedevo e i rimedi che mi sarebbe sembrato opportuno adottare di corsa.
Quando successivamente gli uffici dell’Autorità hanno deciso di aprire un’istruttoria e verificare se vi fossero illeciti privacy addebitabili al produttore degli occhiali o al fornitore dei servizi collegati, per ragioni di opportunità e non per obbligo di legge, mi sono fatto da parte e mi sono astenuto dal voto.
Questi i fatti. Il resto sono gravi inesattezze facilmente evitabili, utilizzate – in buona o cattiva fede – per supportare suggestioni, illazioni e accuse, talvolta anche molto gravi.
La seconda riguarda un procedimento originato da un data breach subito dalla ASL di Avezzano, un data breach importante che aveva riguardato anche dati sanitari.
La particolarità della vicenda – per quanto riguarda la mia posizione – è che la ASL era seguita dal mio vecchio Studio Legale.
Il Fatto Quotidiano oggi scrive che nonostante la rilevanza della vicenda io avrei votato per l’ammonimento anziché per una sanzione.
Il non detto ma lasciato intendere è che avrei votato “solo” per l’ammonimento anziché per una sanzione, magari “esemplare”.
Anche qui non so cosa dirà questa sera Report al riguardo ma quella che propone Il Fatto Quotidiano è una sintesi di falsi storici e illazioni che persino chi è innamorato come me del giornalismo fa fatica a accettare.
I fatti sono questi.
Il procedimento, come di consueto istruito dagli uffici, arriva in adunanza, davanti al Collegio, una prima volta, il 30 gennaio 2025.
Il coinvolgimento del mio vecchio Studio non emerge – come spesso accade nei procedimenti davanti al Garante nei quali le parti firmano personalmente la più parte delle memorie – dagli atti ma, avendone il sospetto, a valle di una conversazione con un avvocato [non del mio vecchio Studio] avuta qualche giorno prima, ritengo opportuno non partecipare alla discussione e esco quindi dall’aula.
La circostanza è pacifica risultando dal verbale della relativa seduta, verbale messo a disposizionedi Report per estratto.
Il Collegio, tuttavia, decide di rinviare l’esame alla successiva adunanza del 13 febbraio 2025.
Qui, naturalmente, faccio altrettanto e non avrebbe potuto che essere così considerato quanto dichiarato al verbale dell’adunanza precedente.
Il Collegio, all’unanimità dei presenti, adotta un provvedimento di ammonimento.
All’esito del procedimento in questione, quindi, io non ho mai concorso.
E, tuttavia, nelle scorse settimane, a seguito di un’intervista con Report nel corso della quale mi è stato giustamente chiesto conto della vicenda, andando a ricostruirla è emerso che nel secondo verbale, quello dell’adunanza del 13 febbraio del 2025, non si fa menzione della mia uscita dall’aula.
Non dovrebbe capitare ma capita nel corso di sedute che durano ore e nelle quali si discutono decine di procedimenti.
E, naturalmente, la responsabilità dell’accaduto è integralmente mia che in sede di approvazione del verbale non mi sono avveduto della mancanza che avrei dovuto far rilevare.
La conseguenza è che mentre esiste una prova insuperabile della mia non partecipazione al voto in occasione della prima discussione del procedimento, questa prova manca, nella seconda occasione anche se, forse, buon senso e logica suggeriscono che se una persona dichiara un rischio di potenziale conflitto di interessi il 30 gennaio e rinuncia a partecipare a una discussione, non possa, poi, che fare altrettanto quindici giorni dopo.
Questo, parola per parola, è quanto ho scritto a Report, dopo l’intervista e non appena verificato l’accaduto, senza nascondere nulla, inclusa la mia distrazione in occasione dell’approvazione del verbale perché tanto credo si debba alla stampa se si fa il mio lavoro.
Non è vero, quindi, quello che scrive Il Fatto Quotidiano e cioè che io avrei votato per l’ammonimento della ASL assistita dal mio vecchio Studio e non è vero quello che lascia intendere con formulazione suggestiva ovvero che io abbia determinato, per interesse privato, la decisione perché io non ho mai votato e, in ogni caso, il provvedimento è stato adottato all’unanimità con la conseguenza che, in ogni caso, il mio voto sarebbe stato ininfluente.
Vale, forse, la pena solo aggiungere – e anche questa è informazione già condivisa con la redazione di Report e che avrei condiviso con quella de Il Fatto Quotidiano se mi fosse stata chiesta – che gli stessi uffici dell’Autorità, nella vicenda in questione, avevano rappresentato al Collegio di qualificare come molto modesta la responsabilità della ASL in relazione all’accaduto come, peraltro, non è infrequente che accada con conseguente determinazione della sanzione in una forbice strettissima tra poche migliaia di euro, quelle che stanno nella dita di una mano, e l’ammonimento.
Tutto questo, naturalmente, risulta per documenti.
Anche in questo caso, questi sono i fatti. Il resto, come sopra, inesattezze più o meno gravi, illazioni, suggestioni e ricostruzioni tendenziose.
Qualcuno mi chiede perché continuo a rispondere – e, persino a anticipare – alle contestazioni – per la verità, nel mio caso, poche e modeste – che rimbalzano dai giornali, dalla televisione e dai social e perché non mi metto semplicemente alla finestra aspettando che passi l’acquazzone mediatico di questi giorni e torni il sereno.
Domanda corretta che merita una risposta.
Probabilmente è quello che farei se si stesse scrivendo e parlando di fatti relativi a una mia attività professionale privata, mi converrebbe e sarebbe la scelta mediaticamente più felice.
Ma non è così, qui si tratta di contestazioni relative a un’attività che da cinque anni svolgo in un’Istituzione, in un’Autorità amministrativa indipendente.
Quello che riguarda me in questa vicenda, inesorabilmente, riguarda l’indipendenza e l’autorevolezza, almeno percepite, di quella Autorità, un’Autorità alla quale sono visceralmente legato, probabilmente da prima di entrarvi.
E, allora, da rappresentante di quell’Autorità, da una parte ho un dovere inderogabile di massima trasparenza verso i media e l’opinione pubblica e dall’altra ho un dovere – non meno importante – di difenderne indipendenza e autorevolezza, anche solo percepite e non effettive perché, ciò di cui sono certo, è che nessun mio comportamento o condotta, durante il mio mandato, abbia fatto vacillare neppure per un istante indipendenza e autorevolezza effettive del Garante per la protezione dei dati personali.
