ADNKRONOS | DeepSeek sfida il Garante ed è ancora disponibile in Italia, Scorza: “La loro risposta stride con la realtà”

01/02/2025 FONTE: Il Garante della privacy la blocca, ma DeepSeek è ancora disponibile in Italia

Guido Scorza, membro del collegio del Garante della privacy, sottolinea che l’Ai cinese è ancora disponibile in Italia e spiega cosa può accadere adesso

Il Garante della Privacy ha disposto il blocco di DeepSeek in Italia, ma l’AI cinese è ancora disponibile nella versione web come confermato dall’avvocato Guido Scorza, componente del collegio dell’autorità, ai microfoni di Eurofocus. Alla richiesta di informazioni sul trattamento dei dati personali dei cittadini italiani, DeepSeek ha risposto di “non aver mai operato in Italia” e di “non avere intenzione di operare nel mercato italiano”.

Perché la società cinese rilascia tale dichiarazione sebbene sia ampiamente dimostrato che, fino al 29 gennaio, l’app era disponibile sugli store digitali italiani? E quali sono i rischi per i dati dei cittadini che hanno utilizzato DeepSeek?

Scorza: “La risposta di DeepSeek stride con la realtà”

Prima della richiesta di chiarimenti da parte del Garante della Privacy, l’Ai cinese non solo era disponibile in Italia ma offriva la possibilità di usare l’app (anche in versione web) in lingua italiana: “A noi è sembrato piuttosto evidente che per un certo periodo di tempo abbiano voluto operare sul mercato italiano“, spiega l’avv. Scorza sottolineando un possibile cambio di rotta da parte di Liang Wenfeng e soci.

Nonostante la rimozione dagli store italiani di Google e Apple, “il servizio risulta ancora disponibile nella sua versione web” il che amplifica lo scetticismo sulla strategia di DeepSeek.

“Per il Garante la disciplina europea del Gdpr si applica per il semplice fatto che quel servizio sembra pescare a strascico tonnellate di dati personali, come fatto in passato anche da OpenAI”, evidenzia Scorza che spiega come senza questi dati l’Ai cinese “non sarebbe stata in grado di interloquire su argomenti legati alle cose di casa nostra”.

L’autorità italiana è stata la prima a chiedere spiegazioni su quali siano i dati personali raccolti, da quali fonti, per quali finalità, quale sia la base giuridica del trattamento, e se siano conservati su server collocati in Cina. Ieri, 30 gennaio, anche l’autorità di vigilanza irlandese ha chiesto chiarimenti a DeepSeek sul trattamento dei dati personali.

Il precedente di ChatGPT

Il Garante della Privacy italiano intervenne con la stessa solerzia anche nei confronti di OpenAI due anni fa: “I problemi ci sono a prescindere dalla localizzazione del server. – spiega Scorza – I cittadini hanno il diritto di sapere che qualcuno sta trattando i loro dati personali, che li ha pescati a strascico dal web, che li usa per generare risposte su di loro, che queste risposte possono essere inesatte e hanno anche il diritto di chiedere la cancellazione dei propri dati dai server”, spiega.

La questione di dove si trovano i server è secondaria, ma rappresenta un ulteriore elemento da approfondire: “Abbiamo cercato una risposta da DeepSeek, ma non l’abbiamo avuta. Potrebbe esserci un’aggravante se venisse accertato che i dati siano stati raccolti e trasferiti su server cinesi senza adeguate garanzie, essendo la Cina un Paese che non può contare su un ‘Safe Harbor’ dal punto di vista della disciplina europea sulla privacy”, aggiunge il giurista all’Adnkronos.

Quali sono le differenze rispetto al confronto avuto con OpenAI due anni fa?

Scorza evidenzia il diverso approccio delle due società di fronte alla richiesta di chiarimenti: con OpenAI “fu instaurato un tavolo di confronto per cercare delle soluzioni, che in parte sono state trovate e in parte no. Per questo abbiamo di recente adottato un provvedimento nei confronti della società americana. L’approccio di DeepSeek fin qui sembra di completa chiusura rispetto ad un’interlocuzione con l’autorità. La proprietà cinese si è affrettata nel dire di non essere interessata al nostro mercato e di non riconoscere la nostra giurisdizione”, spiega l’avv. Scorza. Una risposta arrivata appena due giorni dopo la richiesta del Garante nonostante la società avesse a disposizione venti giorni per replicare.

La mossa più netta presa da DeepSeek è stata quella di rimuovere immediatamente l’app dagli store digitali italiani salvo poi affermare di non aver mai voluto operare in Italia.

DeepSeek ha dichiarato il falso?

Una risposta che stride con la realtà e potrebbe creare nuovi grattacapi alla proprietà. Il tutto considerando che il software, in versione web, è ancora disponibile nel Paese. Abbiamo chiesto all’avvocato se la risposta inviata da DeepSeek possa costituire il reato di dichiarazione di falso.

La risposta dipende dalle reali intenzioni dei proprietari dell’Ai cinese: “Potrebbero sostenere che il loro modello di Ai fosse disponibile in Italia per una svista, per un errore, per un problema che non si sono posti, ma non per loro scelta”, spiega il giurista che conclude: “Non c’è dubbio che, se risulterà che la disponibilità del servizio, in forma di app o via web, sia stata una scelta consapevole di DeepSeek, aver detto alla autorità di non esserci mai stati e di non avere intenzione di esserci, sarebbe una dichiarazione falsa” seppure con tutti i problemi di giurisdizione trattandosi di un soggetto non italiano né europeo.