Ecco perché ChatGPT non scrive (quasi mai) il mio nome

Questa è la storia dietro al fenomeno-non-fenomeno che da qualche giorno sta facendo discutere in Italia e all’estero dopo che qualcuno si è accorto che ChatGPT davanti alla richiesta di generare contenuti collegati ad alcuni nomi si blocca e non procede. Il guest post di Guido Scorza, avvocato e componente del Collegio del Garante per la Protezione dei dati personali

Nessun giallo, nessun trucco, nessuna corsia preferenziale. Ho semplicemente esercitato, in tempi non sospetti perché il fenomeno ChatGPT non era ancora esploso e l’istruttoria del Garante che avrebbe poi condotto al famoso primo provvedimento d’urgenza nei confronti di OpenAI non era stata neppure immaginata, il diritto di opposizione che la disciplina europea riconosce a chiunque viva in Paese europeo. Si tratta di un diritto appunto che consente a coloro che si rendono conto che i propri dati personali sono trattati, in assenza di consenso, da un terzo di chiedere a quest’ultimo, a prescindere da qualsivoglia valutazione circa la legittimità del trattamento, di interromperlo.

Questa è la storia dietro al fenomeno-non-fenomeno che, da qualche giorno, sta facendo discutere in Italia e all’estero dopo che qualcuno si è accorto che ChatGPT davanti alla richiesta di generare contenuti collegati ad alcuni nomi, incluso il mio, si blocca e non procede.

guido scorza privacy weekly

ChatGPT ha un problema con alcuni nomi?

Niente di più e niente di meno. Oggi c’è un link sulla stessa piattaforma di ChatGPT, sotto la voce privacy, cliccando sul quale chiunque, utente o non utente del servizio, può esercitare quello che, appunto, la disciplina europea della materia definisce diritto di opposizione. Il risultato che si ottiene – anche sul punto è bene essere chiari – è quello che da più parti è già stato rappresentato: Chatgpt non genera più contenuti che contengano quel nome o, almeno, non lo fa più in modo “naturale”.

Perché se “forzata” con prompt anche non di fulgida creatività ma, comunque, originali, torna a generare contenuti relativi alla persona che ha esercitato il diritto di opposizione. E naturalmente anche in questo caso – è così sempre – incluso il mio nome. Qui il racconto della storia vera di quello che qualcuno ha rappresentato come un mistero digitale di fine autunno – benché se ne fosse già parlato da un po’ – si ferma e, in teoria, dovrebbe iniziare quello legato alla legittimità o meno della situazione che abbiamo davanti.

Una discussione straordinariamente utile e preziosa, perché se da una parte è innegabile che la possibilità di chiedere di sparire dai risultati, almeno più immediati di ChatGPT, è già qualcosa, dall’altra è lecito il dubbio che sia abbastanza alla luce della vigente disciplina. Ma qui, necessariamente, io devo fermare le parole e con esse le mie idee e opinioni perché l’Autorità e, anzi, tutte le Autorità europee della questione si stanno occupando e non sarebbe né corretto, né opportuno che io condividessi fuori dai contesti formali neppure un bit di riflessione in più.

Chiunque altro, naturalmente, può, invece, dire la sua e se crede vale la pena che lo faccia perché il dibattito è importante e riguarda i diritti e le libertà dei singoli e della società nel suo complesso davanti alle scelte dei mercati e dell’industria e, più in generale, il rapporto tra questi diritti e libertà con il progresso tecnologico, non necessariamente, sempre coincidente con l’innovazione che è, almeno per come la vedo io, solo quella forma di progresso tecnologico capace di accrescere il benessere collettivo nel rispetto, tra l’altro, della dignità delle persone.

FONTE: Ecco perché ChatGPT non scrive (quasi mai) il mio nome – StartupItalia