Huffington Post 22/05/2024 – Di Guido Scorza
Non è solo e non è tanto un fatto di scrivere regole nuove, quanto di investire come sin qui non si è fatto nell’educare giovani e adulti a essere giovani e adulti nella dimensione digitale e porre limiti, più tecnologici che giuridici ai padroni dei mercati digitali
Nel 1924, a Ginevra, la comunità internazionale, firmando la Dichiarazione sui diritti del fanciullo, prometteva, tra l’altro, ai più piccoli che avrebbe dato loro quanto di meglio l’umanità possiede. Oggi dobbiamo riconoscere che cento anni non sono bastati a noi adulti – che, pure, ai più ricordiamo ogni giorno l’importanza di mantenere le promesse – per mantenerla.
Ricordarlo alla vigilia della Giornata mondiale dei bambini istituita da Papa Francesco che andrà in scena a Roma il prossimo weekend, mentre la Commissione europea lancia uno dei più feroci j’accuse all’indirizzo dell’industria dei social network accusandola di nuocere ai bambini, mentre l’università Bicocca, in uno studio appena pubblicato, mette nero su bianco che lo sbarco troppo precoce dei nostri figli nei social network pregiudica, tra l’altro, le loro capacità di apprendimento, mentre applicazioni basate sull’intelligenza artificiale delle cui dinamiche di funzionamento e del cui impatto sulla società persino i padroni delle fabbriche di algoritmi dalle quali escono sanno meno di quanto sarebbe necessario conquistano centinaia di milioni di bambini e, soprattutto, ricordarlo alla vigilia di un G7, a guida italiana, del quale proprio l’intelligenza artificiale sarà protagonista e al quale parteciperà lo stesso Pontefice sembra importante e, anzi, forse necessario.
Un secolo dopo, infatti, mentre stiamo provando a governare l’intelligenza artificiale e, in particolare, il suo impatto sul mondo, l’umanità ha la possibilità di riscattarsi, seppur tardivamente, e di mettere, non solo e non tanto, come ormai piace ripetere in ogni sede istituzionale e in ogni documento ufficiale, l’uomo al centro, ma i bambini al centro.
Perché quei bambini ai quali abbiamo imposto di crescere in un universo digitale che – oggi possiamo probabilmente dircelo senza apparire eretici come sin qui accaduto – non è mai stato pensato, disegnato, progettato e costruito a loro misura, hanno il sacrosanto diritto di crescere in un mondo nel quale, finalmente, possano davvero disporre del meglio – intelligenza artificiale e algoritmi inclusi – che l’umanità ha ed avrà da offrire loro.
È, insomma, forse il momento migliore per rinnovare quell’ormai antica promessa tradita e, almeno questa volta, mantenerla per davvero. E, però, per riuscire nell’intento, in un mondo che corre a una velocità straordinariamente superiore rispetto a quello del 1924, non bastano certamente le parole, non serve aggiungere altre dichiarazioni solenni a quelle che già ci sono e che sono rimaste inattuate e non serve, neppure, identificare imbattibili nemici nei padroni delle nuove tecnologie per poter poi dire che nonostante gli sforzi si è fallito per colpa dell’invincibilità degli avversari che, per inciso, invincibili non sono e, in ogni caso, essendo governati da persone che verosimilmente tengono ai bambini non meno di ciascuno di noi possono diventare i nostri migliori alleati almeno in questa sfida.
Dobbiamo, al contrario, assumerci innanzitutto le nostre responsabilità da adulti.
Dobbiamo chiedere immediatamente scusa ai bambini per quella promessa tradita e per aver consegnato loro tecnologie capaci di offrire opportunità straordinarie senza, tuttavia, fare quanto sarebbe stato necessario perché potessero arrivare a approfittarne in maniera consapevole e sostenibile.
Dobbiamo tornare – o, forse, in molti casi, iniziare – a fare gli adulti anche nella dimensione digitale, smettendola una volta per tutte di raccontarci e raccontare che loro, i più piccoli, sono “nativi digitali” e, quindi, ne sanno più di noi del “nuovo mondo” e non hanno bisogno di noi perché è un colossale equivoco figlio della nostra ignoranza digitale: saper spolliciare sullo schermo di uno smartphone come i bambini sanno fare certamente meglio di noi, non ha niente a che vedere con l’essere educati al suo uso.
Perché insegniamo ai più piccoli a attraversare le strade di asfalto e non facciamo altrettanto con le autostrade digitali? E, poi, dobbiamo convincerci una volta per tutte che nella dimensione digitale non tutto è per tutti e che esattamente come non consentiremmo mai a nostro figlio – o, almeno, la più parte di noi non lo farebbe mai – di salire su un motorino senza avere l’età prevista dalla legge né di farlo senza casco, non dovremmo mai permettere a nostro figlio di entrare, ancora bambino, in una piattaforma digitale che non solo non è strutturalmente adatta alla sua età, ma il cui gestore, scrive, sempre con grande timidezza ma con visibilità crescente, che l’ingresso è riservato a chi ha una certa età.
Eppure sono milioni i genitori che accompagnano per mano i loro figli infratredicenni in piattaforme sulla cui porta c’è scritto: accesso riservato agli ultratredicenni. E quelli tra noi che non lo fanno, molto spesso, guardano i loro figli infratredicenni scorazzare in quelle stesse piattaforme, passarci una parte crescente delle loro giornate, condividerci una quantità enorme di loro dati personali senza chiedersi come ci siano entrati e se avrebbero o meno potuto farlo, non mentendo sulla loro età. Naturalmente tanto non basterà a tenere i più piccoli fuori da piattaforme digitali non disegnate per loro.
Non basterà fino a quando non saremo capaci di esigere dai giostrai digitali ciò che avrebbe dovuto essere naturale dal primo giorno di vita delle loro piattaforme: fare quello che, in ogni parco dei divertimenti, il giostraio che sa che le cinture di sicurezza della carrozza delle sue montagne russe sono progettate per trattenere al sedile solo chi è alto a meno un metro è chiamato a fare ovvero misurare l’altezza di chi sale a bordo. E pazienza se questo ha un costo e se questo comporta la rinuncia a centinaia di milioni di utenti bambini e quindi a una montagna di denari.
Ne vale indubbiamente la pena.
Ecco di bambini che usano servizi digitali, basati o non basati sull’intelligenza artificiale, progettati per gli adulti o, anche, semplicemente, per chi è più adulto dobbiamo fare in modo di non vederne più e per riuscirci dobbiamo pretendere l’immediata implementazione di soluzioni tecnologiche capaci di garantire questo risultato.
C’è poi un’altra questione centrale per rendere il futuro digitale e diversamente intelligente migliore e più sostenibile del passato, innanzitutto, per i più piccoli: non dobbiamo cadere nella trappola di confondere la facilità e immediatezza di uso (la c.d. usabilità) dei servizi e dei dispositivi digitali, inclusi quelli basati sull’intelligenza artificiale con la loro inoffensività, con la loro non pericolosità, con la loro effettiva possibilità di impiego semplice, consapevole e sicuro.
L’usabilità è stata e continua a essere l’arma segreta dei protagonisti dei mercati digitali per conquistare miliardi di utenti, accaparrarsi quantità enormi del loro tempo e della loro attenzione e riempire i propri forzieri di una mole straordinaria di dati e informazioni personali, tutti fattori attraverso i quali hanno raggiunto posizioni ormai incontendibili nella dimensione finanziaria, commerciale e politica.
Guai, naturalmente, a prendersela con l’usabilità che, al tempo stesso, ha consegnato a miliardi di utenti la possibilità di utilizzare tecnologie che, in difetto, in pochi avremmo utilizzato assistendo a un drammatico ampliamento dei divide e delle discriminazioni già presenti nella società globale. E, tuttavia, non può essere che mentre un concessionario di moto o automobili non lascia che l’acquirente si metta alla guida senza avergli prima mostrato la patente e l’assicurazione, il gestore di una piattaforma, di un servizio o di un dispositivo digitale, non solo non debbano fare altrettanto ma, al contrario, possano liberamente suggerire che i loro servizi sono semplici e veloci da usare e sono alla portata di chiunque, senza bisogno di avvertenze, istruzioni e conoscenze di qualsivoglia genere.
Mettersi ai comandi di un servizio di intelligenza artificiale con il quale si può produrre qualsiasi genere di contenuto o di un servizio di social network o di messaggistica con il quale si può condividere con miliardi di persone quel contenuto non può più essere considerato meno pericoloso che mettersi alla guida di una moto o di un’automobile.
Abbiamo visto, purtroppo, che l’una e l’altra attività producono ogni anno milioni di vittime in giro del mondo, spesso vittime la cui vita ancora da vivere avrebbe potuto essere decisamente più lunga di quella vissuta o, più semplicemente, di qualità straordinariamente superiore.
Anche in questa direzione c’è tantissimo da fare.
Non è solo e non è tanto un fatto di scrivere regole nuove, quanto di investire come sin qui non si è fatto nell’educare giovani e adulti a essere giovani e adulti nella dimensione digitale e porre limiti, più tecnologici che giuridici ai padroni dei mercati digitali accettando il fatto che non tutto ciò che è tecnologicamente possibile è, sempre, anche giuridicamente legittimo e democraticamente sostenibile e, quando in gioco c’è il benessere dei più piccoli, non può mai esserlo se il fatto che lo sia non è nel superiore interesse del bambino.
Se uniamo le forze di adulti e se, per una volta, cento anni dopo, facciamo davvero in modo che dare ai bambini il meglio che l’umanità ha loro da offrire sia una priorità di governo, questa sfida si può vincere.
FONTE: Diamo ai bambini il meglio che la società digitale possiede – HuffPost Italia (huffingtonpost.it)