HUFFINGTON POST | Primo giorno di scuola, e milioni di foto di bambini finiscono sui social. Genitori, state attenti!

Huffington Post 11/09/2024 – Di Guido Scorza

Nessun terrorismo psicologico. Nessuna voglia di fare la morale a nessuno. Ma la segnalazione di un rischio concreto: che le foto dei nostri figli finiscano nel giro delle immagini pedo-pornografiche

“Aspetta Paoletta, ancora una in verticale per Instagram”.

Paoletta è una bambina di otto o nove anni e a pregarla di girarsi ancora una volta, per un ultimo scatto prima di entrare a scuola per il primo giorno del nuovo anno, è una signora della mia età, sulla cinquantina, verosimilmente la mamma.

Il set è quello dell’ingresso di una scuola elementare di Prati, a due passi dal centro di Roma. Ma scene analoghe, in questa settimana, si stanno consumando in tutta Italia, anzi, verosimilmente – salvo che il calendario scolastico non è coincidente – in tutto il mondo.

E per averne conferma basta sfogliare le pagine dei social network. Immagini di bambini in grembiule e senza grembiule, più piccoli degli zaini che hanno sulle spalle o appena più grandi come nel caso di Paoletta, di genitori letteralmente sdraiati per terra pur di immortale con i loro smartphone i loro figli al primo giorno di scuola spopolano soprattutto sui social più usati dagli adulti.

“Usa il mio che le foto vengono meglio” urla un papà, a pochi metri da me, verosimilmente alla mamma che si stava facendo un selfie con il figlio – che probabilmente non ha neppure gli otto anni di Paoletta – giusto sotto la targa con il nome della scuola. Già, facciamola meglio questa foto con la quale raccontiamo al mondo dove va a scuola nostro figlio.

E quando scrivo “mondo”, intendo proprio tutto il mondo, inclusa quella fascia della popolazione globale che ha, drammaticamente, irrefrenabili appetiti sessuali rivolti ai più piccoli. E, poi, magari, qualche giorno dopo, davanti all’ennesimo fatto di cronaca su un qualche sequestro di foto e video pedopornografici avvenuto in qualche parte del mondo, chiediamoci da dove arrivi quella “porcheria”.

Ecco vale la pena tener presente, per quanto per molti di noi genitori la notizia possa suonare sconvolgente, che quella “porcheria” è, in una percentuale crescente, il risultato delle foto dei nostri figli che noi condividiamo sui social, sapientemente – e meno sapientemente – fotomontate su corpi di bambini o riproduzioni sintetiche di bambini intenti in ogni genere di orribile attività sessuale grazie a soluzioni di intelligenza artificiale che, ormai, consentono di realizzare questo genere di contenuti anche a orchi completamente a digiuno di competenze tecnologiche.

E non basta perché ci sono altre analoghe soluzioni tecnologiche, egualmente a buon mercato e, anzi, in taluni casi, addirittura gratuite, che consentono da un volto – magari quello di un bimbo finito in uno di quelli archivi-porcheria qui sopra – di ritrovare una serie di altre foto e notizie sul bambino – vero – al quale quel volto appartiene.

E certo che se attraverso una di queste foto si scopre che quel bambino frequenta una scuola non lontana dalla zona in cui si vive e se si è uno dei protagonisti delle storie di cronaca che si consumano quotidianamente, il rischio che si abbia l’irrefrenabile istinto di andare a offrire delle caramelle o delle tessere per comprare videogame a quel bambino diventa concreto.

Nessun terrorismo psicologico. Nessun desiderio di spaventare quell’esercito di genitori che ho visto, non per la prima volta, davanti alla scuola di mia figlia quasi fossero davanti all’esibizione di un corpo di ballo in teatro e, anzi, certamente, meno composti e, men che meno, nessuna voglia di fare la morale a nessuno perché non credo serva, non ne sono capace e non posso permetterlo considerato l’interminabile elenco di errori che da genitore ho commesso, sto commettendo e continuerò a commettere.

E, però, un invito a riflettere un istante di più prima di condividere sui social una montagna di foto dei nostri figli, quello sì, quello, forse, da genitore che ha la fortuna, in questo momento, di guardare il mondo, da un osservatorio privilegiato come quello del Garante per la protezione dei dati personali e, al tempo stesso, la sfortuna di scontrarsi quotidianamente, anche con il lato peggiore e più oscuro della società digitale nella quale viviamo immersi, questo sì, questo invito credo di avere il dovere di rivolgerlo a tutte le mie colleghe e i miei colleghi genitori.

Facciamo il mestiere più difficile del mondo e abbiamo, insieme agli insegnanti dei nostri bambini, il compito più difficile in assoluto perché dobbiamo prepararli a vivere in una società che spalanca loro milioni di porte e offre loro opportunità straordinarie ma che, al tempo stesso, è incredibilmente più complessa rispetto a quella nella quale siamo cresciuti, una società nella quale opportunità e rischi sono più vicini e tendono a confondersi nelle stesse piattaforme, negli stessi dispositivi, negli stessi servizi digitali in un tutt’uno indistricabile.

E il problema non è solo il rischio di contribuire alla produzione pedopornografica globale rendendone involontariamente i nostri figli protagonisti. Il problema principale credo che sia l’esempio che diamo ai più piccoli a proposito della linea di confine tra pubblico e privato, tra ciò che ha senso appartenga all’album dei ricordi di famiglia più cari e più belli e ciò che, invece, può essere condiviso con il mondo intero.

Se ci vedono condividere in mondovisione momenti meravigliosamente intimi come la nascita, il primo giorno di scuola, una festa di compleanno, il primo bagnetto o la prima estate al mare, poi dove impareranno a tracciare la linea di confine tra pubblico o privato?

E non basta.

L’ecosistema digitale, infatti, è ghiottissimo di dati personali e informazioni e, specie nella stagione degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale, risucchia tutto o, meglio, consente a una manciata di corporation di risucchiare tutto attraverso giganteschi aspiradati per le finalità più diverse, finalità che, in molti casi, segnano il destino delle persone anche perché – dovremmo averlo imparato da un po’ – Internet non dimentica, può nascondere, può mettere da parte, perdere e far perdere di vista ma non dimentica e non consente di dimenticare nulla.

Insomma, quando pubblichiamo una foto dei nostri bambini stiamo, in qualche modo, segnando il loro destino, stiamo decidendo per loro quanto di loro il mondo potrà sapere o non sapere anche in futuro.

Ecco, forse, in occasione del primo giorno di scuola, vale la pena prenderci cinque minuti per una riflessione su queste questioni. Poi, naturalmente, ciascuno faccia le proprie scelte, quelle difficili e, anzi, difficilissime che ci toccano da genitori.

FONTE: https://www.huffingtonpost.it/rubriche/governare-il futuro/2024/09/11/news/il_primo_giorno_di_scuola_ovvero_milioni_di_foto_di_bambini_che_finiscono_sui_social-16874664/