LA STAMPA | Noi, gli algoritmi e il nuovo Far West

La Stampa 22/01/2025 – Di Guido Scorza

Lo aveva promesso in campagna elettorale e lo ha fatto, a poche ore dalll’insediamento alla Casa Bianca, il neo-rieletto Presidente Trump ha cancellato l’ordine esecutivo firmato nel 2023 dal suo predecessore, Joe Biden, nel tentativo di provare a governare e mitigare – sebbene in maniera edulcorata rispetto a quanto sta provando a fare l’Unione europea – i rischi legati all’impatto dell’intelligenza artificiale sulla società. Secondo Trump quelle regole avrebbero frenato l’innovazione tecnologica sulla quale, al contrario, intende scommettere per rilanciare l’economia americana. Una decisione che non sorprende sia perché ampiamente annunciata, sia perché la Casa Bianca non è mai stata così vicino alle big tech come da quando Elon Musk è sceso in campo accanto a Trump.

Ma è una decisione importante e basata su un grande equivoco: quello che propone – poco conta se per reale convinzione o semplice convenienza politica – la regolamentazione come antagonista dell’innovazione. È un leitmotiv tanto ricorrente – per la verità in maniera preoccupante anche da questa parte dell’Oceano – quanto privo di qualsiasi fondamento perché le regole – a condizione, ovviamente, che siano quelle giuste – non servono a frenare l’innovazione ma a governarne l’impatto sulla società, garantendo, in particolare, che i benefici superino i rischi e, soprattutto, siano distribuiti nella misura più ampia possibile anziché restare concentrati nelle mani di pochi.

Tanto per fare un esempio, le regole che, negli anni, hanno imposto all’industria automobilistica di equipaggiare le automobili con dispositivi di sicurezza sempre più efficaci – dalle cinture di sicurezza all’airbag, passando per le frecce di emergenza e gli stop – non hanno frenato l’innovazione nel settore ma l’hanno semmai promossa, rendendo le automobili e la circolazione stradale sempre più sicura. Analoga considerazione vale o dovrebbe valere nel settore tecnologico, a cominciare proprio dall’intelligenza artificiale che ne è oggi la punta di diamante. Anche solo per questo, la decisione di Trump non può non preoccupare.

È, infatti, come se avesse appena autorizzato l’industria automobilistica a decidere liberamente se equipaggiare o meno le automobili immesse in commercio con cinture di sicurezza e airbag. Anzi, molto peggio, perché l’industria degli algoritmi non è come quella automobilistica che progetta, produce, collauda e poi immette in commercio ma, con poche, virtuose eccezioni, progetta, produce e poi mette in commercio e collauda, usando gli utenti come collaudatori se non, addirittura, cavie da laboratorio.

Ma non basta.

L’aspetto, forse, più preoccupante, infatti, è che se Parlamenti e Governi non governano tempestivamente l’impatto della tecnologia sulla società, la tecnologia diventa essa stessa regolamentazione e plasma la vita delle persone e della società al posto delle leggi.

Ma le regole imposte a mezzo tecnologia, al contrario di quelle adottate dai Parlamenti che sono o, almeno, dovrebbero essere sempre orientate alla promozione e tutela dell’interesse pubblico, nascono nei laboratori degli oligopolisti digitali e sono scritte nel loro esclusivo interesse, un interesse, normalmente orientato alla massimizzazione dei propri profitti.

Quando questo accade, la tecnocrazia si sostituisce alla democrazia.

È anche per questo che la decisione di Trump preoccupa: abrogare – senza neppure sostituirle con altre che si considerino migliori – regole adottate secondo un processo democratico per governare l’innovazione, significa lasciare che sia l’industria tecnologica, attraverso, algoritmi, software, interfacce e condizioni generali di contratto a governare la società.

Che questo accada proprio nel Paese dove ha sede il più grande polo dell’industria tecnologica globale è un fatto che ci riguarda tutti.

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