Milano Finanza 11/11/2024 – Di Guido Scorza
Ci sono decine di prospettive diverse dalle quali guardare a quanto è appena successo negli Stati Uniti d’America dove Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo e uno degli imprenditori dell’innovazione più istrionico e spregiudicato di tutti i tempi ha contribuito in maniera determinante al ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, appena milleduecentesimo nella classifica degli uomini più ricchi del mondo ma tra i più spregiudicati concorrenti di tutti i tempi nella corsa alla presidenza Usa.
Una delle più semplici è quella di chi rileva come Musk ha, ancora una volta, osato più di chiunque altro prima di lui, puntando, quasi che le elezioni fossero una roulette, tutto sul rosso, sino a legare a doppio filo il suo volto e i brand delle sue aziende al destino politico di Trump e a vincere il banco. In questa prospettiva basta dire che dopo aver investito nell’elezione di Trump poco meno di duecento milioni di dollari, a una manciata di ore dagli scrutini il valore delle azioni della sua Tesla – solo uno dei gioielli imprenditoriali della sua corona – è salito di oltre il 12%, garantendo a Musk un generoso ritorno del suo investimento elettorale. E si tratta naturalmente del meno significativo dei benefici che il patron di X (fu Twitter) porterà a casa grazie al successo elettorale di Trump.
Il neo-ri-eletto presidente americano infatti nel ringraziare Musk lo ha già definito un genio da proteggere e promuovere e ha già annunciato l’intenzione di averlo accanto nel suo secondo mandato anche se con un ruolo ancora da definire, verosimilmente, legato all’efficientamento dell’amministrazione pubblica americana, una specie di Zar anti-sprechi e burocrazia, per quel che si è capito. Questo porta direttamente a una seconda possibile lettura dell’accaduto: una normalizzazione del conflitto di interessi. Perché è difficile definire diversamente uno scenario nel quale un uomo con interessi enormi nella vita economica del Paese – e per la verità del mondo intero – si ritrova, per effetto di enormi crediti maturati nel corso di una campagna elettorale, non solo vicino ma addirittura dentro lo studio ovale, il cuore del potere americano e, forse, globale.
Qui basterebbe ricordare – ma ancora una volta per limitarsi a guardare alla punta dell’iceberg – che Space X, un altro dei fiori all’occhiello della galassia societaria di Musk ha rapporti miliardari, da lustri, con il governo americano, a cominciare dalla Nasa, rapporti che, inutile dirlo, sembrano ora destinati a rafforzarsi in maniera significativa. E inutile anche ricordare, nella stessa prospettiva, che Tesla beneficia, anche in questo caso non da ieri ma danni, di incentivi governativi a tanti, tantissimi zeri, per il contributo – o presunto tale – dell’industria dell’auto elettrica alla lotta al cambiamento climatico. Trump peraltro storicamente non è un tifoso di questo approccio ma è difficile credere che ora non aggiungerà qualche zero a questi incentivi. E non basta: le aziende di Musk, in buona misura in ragione della spregiudicatezza e dell’insofferenza alla regolamentazione che rappresentano alcune tra le cifre più distintive delle iniziative dell’uomo più ricco del mondo, sono ormai da qualche anno al centro di una serie di investigazioni e procedimenti di diverse agenzie, autorità e tribunali americani. Che ne sarà ora che il responsabile ultimo dell’intero circuito imprenditoriale dividerà di fatto la poltrona dello studio ovale con il presidente degli Stati Uniti d’America?
C’è poi un’altra possibile prospettiva – che è quella di chi non si chiede cosa è successo e cosa accadrà ora nei prossimi anni di regno di Trump e Musk – ma cosa accadrà in occasione delle prossime elezioni e di quelle ancora dopo. I due hanno in qualche modo sdoganato un nuovo modello inedito di funzionamento della pachidermica macchina elettorale americana: quello del super sponsor e del super sponsorizzato che legano l’un l’altro i propri destini, scommettendo tutto e dichiarandosi pronti a vincere o perdere tutto. Musk è il più ricco del mondo ma l’elenco dei paperoni americani che potrebbero trarre ispirazione dalle sue gesta e decidere, alle prossime elezioni, di imitarlo è lungo centinaia di nomi.
Insomma, forse, non è ardito pensare che dopo quello che è accaduto, nello studio ovale, si debba sostituire la poltrona che fu tra gli altri di Washington, Jefferson, Lincoln e Roosvelt con un più comodo divanetto per due: un presidente e un suo super sponsor-scommettitore, che punta tutto sull’elezione del primo in vista di straordinari vantaggi futuri.
Un’immagine che proietta un cono d’ombra poco rassicurante su una democrazia antica come quella americana. Ma naturalmente le prospettive dalle quali guardare a quanto è appena accaduto sono tante, tantissime, di più. Tra queste tuttavia ce n’è probabilmente una più importante delle altre e riguarda il futuro, l’innovazione e la regolamentazione. Musk infatti non è solo l’uomo più più ricco del mondo né un qualsiasi imprenditore seriale ma è uno dei grandi dell’innovazione tecnologica globale. Dal digitale allo spazio, dalle neuroscienze e neurotecnologie all’intelligenza artificiale, dalle auto a guida autonoma ai social network: non c’è un ambito nello scibile dell’innovazione tecnologica che sia stato risparmiato dal suo indiscutibile istinto pioneristico e dalla sua voglia di esserci e di essere il primo. Indiscutibile quindi che il suo ritrovarsi così vicino al presidente degli Stati Uniti d’America (comunemente considerata la più grande potenza mondiale e certamente la patria della più grandi tech-farm globali) e disporre di così importanti crediti politici e amicali consentirà a Musk di avere un’influenza senza precedenti sulla governance dell’innovazione tecnologica. Ma come userà questa influenza? Potrebbe usarla per sbaragliare la concorrenza, a cominciare da quella nella corsa all’intelligenza artificiale, zavorrando – o, meglio, facendo zavorrare – OpenAI e favore della sua xAI e fare altrettanto nell’universo dei social network o in quello della corsa verso Marte e, più in generale lo spazio.Ma sarebbe forse la più banale delle direzioni possibili. Potrebbe usarla per riscrivere la geopolitica digitale globale dei rapporti tra Usa e Cina, non avendo mai nascosto di considerare quello cinese, in particolare per le sue auto a guida autonoma, un mercato difficilmente sacrificabile. Certo Trump ha sempre mostrato di pensarla in maniera molto diversa ma non è facile dire oggi chi dei due comanderà per davvero, specie in materia di innovazione tecnologica. E un’alleanza Cina-Usa nei settori tecnologici, per quanto sia uno scenario che oggi appare fantapolitico, sarebbe difficilmente sostenibile per l’Europa. In questo caso ne beneficerebbe verosimilmente l’intera industria tecnologica statunitense e a rimetterci sarebbe l’Europa, quella dell’industria e quella dei diritti e delle libertà. La posta in gioco in uno scenario del genere è enorme perché l’impatto che uno sviluppo meno regolamentato di neurotecnologie, intelligenza artificiale, veicoli a guida autonoma e social media potrebbe avere sulla nostra società, sulle persone e sulle nostre democrazie è da fantascienza.