GAZZETTA DEL SUD | Quando l’intimo diventa pubblico può distruggere la vita di una persona

24/08/2025 – Di Guido Scorza

Quando l’intimo diventa pubblico nella dimensione digitale poi è difficile, talvolta impossibile, farlo tornare di nuovo intimo. È la lezione che potremmo – e, forse, dovremmo –far nostra che arriva da una serie di vicende che hanno affollato le pagine dei giornali nelle ultime settimane d’agosto, tra chat e video – quelli di Raoul Bova e Stefano De Martino – egualmente intimi finiti, in contesti diversi, online e foto di mogli e sedicenti tali pubblicate in un gruppo su Facebook, gruppo frequentato da decine di migliaia di persone.

Certo, quando capita che il proprio intimo diventi pubblico contro la propria volontà o – il che è lo stesso – in assenza del proprio consenso, ciascuno di noi può reagire. I diritti – a cominciare da quello alla protezione dei dati personali – esistono, ci sono e possono essere esercitati, direi, con relativa facilità e immediatezza. E tutte e tre le vicende sono li a confermarlo.

Esistono, da sempre, i criminali e le violazioni delle leggi e, esistono, per fortuna, le Autorità e le leggi. Vero, innegabile, confortante ma, sfortunatamente, non risolutivo. Gli audio rubati dalle chat, i video intercettati dalle telecamere domestiche, le foto pubblicate sul Gruppo Facebook, purtroppo, nonostante ordini e chiusure, disposte da Autorità e social network, non sono scomparsi del tutto dall’universo digitale. Chi sa cercare meglio li trova ancora, altrove e, magari, in forma diversa ma li trova ancora.

Ma il problema è che se anche oggi fossero effettivamente spariti dalla dimensione digitale, domani potrebbero tornare a far capolino in un qualche angolo del web.

E, allora, che fare? Non esistono soluzioni e ricette salvifiche né panacee, purtroppo.

Non basterà, ma, sicuramente è utile educare le persone al valore dei diritti, a cominciare dalla privacy, raccontando, per esempio, che rendere l’intimo pubblico è facile quanto un tap sullo schermo di uno smartphone ma può letteralmente distruggere la vita di una persona.

Il dubbio che molti dei carnefici e stupratori digitali protagonisti degli episodi di queste settimane non lo sappiano e non ne abbiano consapevolezza è lecito e elevato. La privacy, a dispetto della sua veneranda età, resta un diritto fragile, sconosciuto ai più, purtroppo considerato elitario da molti e inutile da tanti, troppi.

Diceva Umberto Eco, quasi trent’anni fa, invitato da Stefano Rodotà a parlare alle Autorità di protezione dei dati personali europee che, all’epoca, muovevano i primi passi, che il nostro lavoro sarebbe stato più quello di spiegare e convincere le persone della centralità della privacy nelle loro/nostre vite che garantire tutela a chi ce l’avesse chiesta.

Aveva ragione.

Educare i potenziali carnefici dell’intimità a non diventarlo e le vittime a auto-protegersi oltre che a esercitare i loro diritti quando vengono violati.