Il Pew Research Center ha appena pubblicato uno studio che analizza l’uso di ChatGPT, il chatbot di OpenAI, per fare i compiti negli Stati Uniti. I risultati sono interessanti.
Il dato più sorprendente, sebbene prevedibile, è l’enorme crescita della percentuale di studenti tra i 13 e i 17 anni che utilizzano l’intelligenza artificiale per i compiti a casa: quasi un raddoppio rispetto al passato, arrivando al 26%. Considerando che negli Stati Uniti ci sono oltre 20 milioni di adolescenti in quella fascia d’età, si tratta di più di 5 milioni di studenti.
Anche la conoscenza di ChatGPT, indipendentemente dall’utilizzo, è aumentata rapidamente, raggiungendo percentuali quasi plebiscitarie: quasi l’80%. Tuttavia, emergono differenze significative legate al reddito familiare. La percentuale sale all’84% tra gli studenti provenienti da famiglie con redditi superiori a 75 mila dollari, ma scende al 67% per quelli con redditi sotto i 30 mila dollari. Si sta quindi delineando un importante digital divide che richiede attenzione urgente, per evitare la creazione di disuguaglianze educative tra studenti di serie A e serie B.
I compiti per i quali ChatGPT è più utilizzato sono ricerche, problemi di matematica e riassunti. Ma i giovani si dividono tra chi ritiene legittimo farlo e chi, invece, lo considera inappropriato.
Nel complesso, la ricerca conferma una tendenza ovvia: l’attrattiva di usare ChatGPT per i compiti è sempre più diffusa e difficile da resistere.
In linea di principio, non c’è nulla di male. I tempi cambiano, la tecnologia evolve, ed è naturale che cambi anche il modo di studiare. Tuttavia, questo processo deve essere governato. Se i compiti sono progettati pensando che saranno svolti con l’AI, il discorso è uno; se invece vengono assegnati seguendo i metodi tradizionali ma poi gli studenti usano chatbot, il rischio è che perdano la loro efficacia educativa.
Inoltre, diversi studi mettono in dubbio l’utilità di ChatGPT per la risoluzione di problemi di matematica e per le ricerche storiche, sollevando la possibilità che confonda anziché aiutare.
C’è poi il rischio di pressione sociale: se molti studenti usano l’AI per fare i compiti, anche chi preferirebbe non farlo, per convinzione o per mancanza di risorse, potrebbe sentirsi obbligato a seguire la stessa strada per rimanere competitivo, limitando così la propria libertà di scelta.
Nulla di nuovo o rivoluzionario. Già in passato abbiamo visto simili trasformazioni con l’introduzione di calcolatrici, computer e Internet. Ma l’impatto di quelle tecnologie sulla società era decisamente più lento rispetto a quello dell’AI di oggi.
Spetta a noi adulti guidare e orientare il rapporto tra giovani e AI in modo sostenibile, garantendo che le opportunità superino i rischi inevitabili.
Buona giornata e, naturalmente, goodmorning privacy!