GOOD MORNING PRIVACY! | Basta con la rivolta contro la regolamentazione

Ieri ho provato a scriverlo senza troppi giri di parole sulle pagine di Milano Finanza e oggi ve lo racconto con il caffè del mattino.

A me questa storia dei tanti, troppi che si ribellano e incitano alla ribellione contro la regolamementazione nel settore tecnologico comincia davvero a preoccupare.
Il grido dei rivoltosi, rimbalzato anche dall’AI Summit di Parigi, è, più o meno, sempre lo stesso: le regole frenano l’innovazione tecnologica che rappresenta la più straordinaria delle leve disponibili per sollevare l’economia globale.
È una rivolta che parte dai colletti bianchi, dalle elite, dai Governi delle economie più sviluppate e che ospitano i giganti della tecnologia.
E, però, è una rivolta che, a prescindere dalle sue origini altolocate, ha una presa straordinaria anche sulla gente comune, sulle masse, su chi fa fatica a arrivare alla fine del mese, perché, naturalmente, se si racconta che le cose potrebbero andar meglio se si regolamentasse di meno, se si lasciasse correre di più il progresso tecnologico, se ci si sottraesse al rischio di vedersi sistematicamente sorpassare nella corsa globale verso il futuro da economie e industrie di Paesi che – almeno nella narrativa che serpeggia tra i rivoltosi – regolamentano di meno e innovano di più, è facile trovare consensi, sostenitori e manifestanti in ogni settore della società.
Proprio per questo è una rivolta pericolosa che andrebbe sedata sul nascere.
Perché la causa è sbagliata, la narrativa fuorviante e ipocrita, le conseguenze drammatiche.
“Il progresso tecnologico è come un’ascia nelle mani di un criminale patologico!”.
Non sono le parole di un luddista ma quelle di Albert Einstein, uno scienziato con pochi eguali nella storia dell’umanità.
Solo le regole possono sfilare quell’ascia dalle mani di quel criminale e trasformare uno strumento di offesa in uno strumento di vero progresso.
E il vero progresso, il solo che dovremmo abituarci a considerare innovazione, è quello del quale parlava Henry Ford quando diceva che “c’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti”.
Niente di più lontano rispetto a quello che sta accadendo, con i vantaggi delle nuove tecnologie asserviti all’interesse economico e politico di pochissimi, grazie a inedite concentrazioni di potere tecno-finanziario.
Ecco le regole servono anche a questo: a garantire la distribuzione dei vantaggi tecnologici, a scongiurare il rischio che si rafforzino oligopoli tecno-commerciali capaci di rendere interi mercati ormai incontendibili, annientando la libertà di concorrenza, con effetti insostenibili per miliardi di utenti e consumatori in tutto il mondo.
Ma le regole servono anche per evitare che si creino alleanze invincibili tra l’industria tecnologica e il potere politico.
Perché quando questo avviene – e sta avvenendo tanto rapidamente che nelle fila dei rivoltosi dell’anti-regolamentazione digitale militano i più grandi oligopolisti tecnologici e i leader di alcune superpotenze – è la stessa idea di una società democratica a essere minacciata.
Ecco altro che ribellarci alle regole, dovremmo, credo, iniziare a ribellarci a chi quelle regole non le vuole.
Poi che sia urgente e necessario, oggi più di sempre, un ripensamento profondo sul modo di scrivere le regole, sui tempi dei processi regolamentari ormai incompatibili con quelli dell’innovazione tecnologica, sull’esigenza di debellare l’ipertrofia normativa degli ultimi decenni è indiscutibilmente vero ma è una questione diversa che non andrebbe strumentalizzata, come fanno i rivoltosi, per raggiungere obiettivi politici e commerciali egemoni.
Buona giornata e, naturalmente, goodmorning privacy!