L’inchiesta di Report: tanto tuonò che piovve

Ieri sera, finalmente, sono state presentate le conclusioni dell’inchiesta di Report, un’inchiesta che, non mi stancherò mai di ripeterlo, credo sia stato giusto, sacrosanto, importante condurre e, finalmente, ho scoperto i “capi d’accusa” che mi riguardano che, sin qui, non avevo potuto che provare a ipotizzare.

E, naturalmente, come fatto in via preventiva, avverto, ora ancora di più, l’esigenza di chiarire in assoluta trasparenza la mia posizione sulle specifiche vicende che mi riguardano.

Le questioni sono due, gli episodi che mi vengono contestati tre.

La prima questione riguarda i rapporti con lo Studio che ho fondato quindici anni fa.

La seconda il mio ruolo – marginale per la verità ma non per questo trascurabile – nella vicenda dei famosi Rayban Stories, gli occhiali con telecamera di Luxottica e Meta.

Quanto alla prima, la premessa, credo debba essere questa: eletto al Garante e prima di varcare la soglia degli uffici del Garante ho esercitato il recesso dall’associazione professionale che gestisce lo Studio che ho fondato quindici anni fa, interrompendo ogni rapporto giuridico e economico e ho alzato una muraglia cinese tra me, i miei vecchi soci e quelli nuovi, una muraglia spessa e impenetrabile, mai attraversata in questi cinque anni e mezzo.

Qui mi pongo e pongo una domanda: che avrei potuto o, addirittura, dovuto fare di più?

Francamente non so rispondere.

Report ipotizza che considerata la mia storia professionale io non sia idoneo all’incarico.

Confesso che faccio fatica a condividere l’idea: a prescindere dal fatto che non è previsto dalla legge, una conclusione del genere spalancherebbe le porte delle Autorità al dilettantismo e le sbarrerebbe ai professionisti esperti delle materie di competenza delle Autorità medesime.

Non mi pare uno scenario auspicabile anche perché mentre esistono antidoti e rimedi contro i conflitti di interesse di questo genere non ne esistono contro l’incompetenza e l’inesperienza di chi siede nelle Autorità.

Ma è una questione che trascende la mia situazione e della quale vale, certamente, la pena discutere.

I numeri, peraltro, contano e benché Report abbia fatto il possibile e l’impossibile per rappresentare il rischio di un  conflitto di interessi con il mio vecchio Studio come strutturale, sistemico, ricorrente, in realtà, le ipotesi nelle quali si è dato, sempre in astratto e mai in concreto, sono state, in cinque anni e mezzo, dieci su duemila e seicento provvedimenti decisi dal Collegio.

Preso atto della circostanza che ogni qualvolta ho avuto conoscenza del coinvolgimento del mio vecchio Studio in un procedimento davanti al Garante non ho partecipato alla discussione e al voto del relativo provvedimento, Report ha identificato due episodi, a suo dire, rivelatori dell’insostenibilità della situazione e del conflitto.

Bene così.

Come diceva Einstein, in teoria, teoria e pratica sono la stessa cosa, in pratica sono due cose diverse.

Veniamo ai due episodi.

Il primo riguarda un procedimento originato da un data breach subito dalla ASL di Avezzano, un data breach importante che aveva riguardato anche dati sanitari.

La ASL, in effetti, era seguita dal mio vecchio Studio Legale.

Prima dell’intervista con Report avevo chiesto alla giornalista di anticiparmi le domande in modo che, nel corso della stessa, potessi fornire dati e informazioni puntuali.

Non le ho ricevute.

Confesso che è un modo di fare giornalismo che non amo perché se si cerca la verità per raccontarla, si dovrebbe avere tutto da guadagnare a anticipare le domande a chi si è dichiarato disponibile a rispondere.

Ma ciascuno fa il proprio lavoro come crede e, quindi, bene così.

Nel corso dell’intervista, quando mi è stato chiesto delle ragioni per le quali avessi votato in un procedimento nel quale il mio Studio era coinvolto ho risposto che se avevo votato doveva essere perché non ero a conoscenza del coinvolgimento del mio Studio.

Dopo l’intervista sono andato a verificare l’episodio ed è emersa una storia diversa.

Eccola.

Il procedimento, come di consueto istruito dagli uffici, arriva in adunanza, davanti al Collegio, una prima volta, il 30 gennaio 2025.

Il coinvolgimento del mio vecchio Studio non emerge – come spesso accade nei procedimenti davanti al Garante nei quali le parti firmano personalmente la più parte delle memorie – dagli atti ma, avendone il sospetto, a valle di una conversazione con un avvocato [non del mio vecchio Studio] avuta qualche giorno prima, ritengo opportuno non partecipare alla discussione e esco quindi dall’aula.

La circostanza è pacifica, risultando dal verbale della relativa seduta.

Il Collegio, tuttavia, decide di rinviare l’esame alla successiva adunanza del 13 febbraio 2025.

Qui, naturalmente, faccio altrettanto e non avrebbe potuto che essere così considerato quanto dichiarato al verbale dell’adunanza precedente.

Sfortunatamente, tuttavia, la circostanza non viene riportata nel verbale.

Una svista, mia innanzitutto e della quale mi assumo ogni responsabilità: in sede di approvazione del verbale, quindici giorni dopo, avrei dovuto rilevarla ma mi è sfuggita.

E, però, logica e buon senso rendono almeno singolare che chi quindici giorni prima ha dichiarato un potenziale conflitto e fatto un passo indietro, poi non faccia altrettanto quindici giorni dopo.

Resomi conto dell’errore commesso durante l’intervista ho immediatamente scritto a Report raccontando quanto sopra e trasmettendo un estratto del verbale del 30 gennaio.

Report ha ricevuto tutto, tanto da pubblicarlo sul proprio sito ma nel corso della trasmissione ha continuato a ripetere che io avrei partecipato alla discussione e al voto.

Non è vero.

Ma c’è di più.

Report va oltre e ipotizza con la forza delle suggestioni e delle allusioni che io avrei votato per l’ammonimento anziché per una sanzione più rilevante che secondo Report e una professionista intervista, per ragioni non meglio precisate, nel caso di specie sarebbe stata quella adeguata.

E qui, con tutto il rispetto che provo per il giornalismo, le inchieste e Report, secondo me si è persa una buona occasione per fare informazione e si è fatta disinformazione, mi piace pensare per distrazione o scarsa conoscenza delle regole del diritto e delle dinamiche di funzionamento del Garante.

Sotto il primo profilo è noto che la gravità di un breach non è direttamente correlata con la gravità della sanzione da infliggere, eventualmente, al titolare del trattamento che, nei casi di data breach, è, innanzitutto, una vittima fino a quando non si accerta che avrebbe dovuto fare più di quello che ha fatto per evitare l’incidente.

E quando si accerta questo si tratta di valutare quanto gravi siano state le omissioni dello stesso titolare del trattamento.

Nel caso di specie gli uffici che avevano istruito il procedimento avevano qualificato queste omissioni modeste e proposto l’adozione di una sanzione altrettanto modesta, attorno ai cinque mila euro.

E si arriva al secondo profilo.

Il Collegio, all’unanimità, ha deciso di ammonire il titolare del trattamento anziché infliggere una sanzione, comunque, poco più che simbolica per un ASL come quella in questione.

La conseguenza che Report ha omesso di riferire, quindi, è che il mio voto, anche qualora vi fosse stato, sarebbe stato del tutto ininfluente.

Insomma, per come la vedo io, non solo il conflitto di interessi non si è dato perché non ho partecipato al voto ma non sarebbe, comunque, stato determinante neppure se avessi partecipato.

Esattamente il contrario di quello che Report ha ritenuto di suggerire ai telespettatori.

Mi confesso dispiaciuto.

Vengo al secondo episodio, la seconda “pistola fumante”, secondo Report della mia situazione di conflitto di interessi.

Riguarda un procedimento avviato a seguito di un reclamo presentato da un interessato a ITA Airways per – ma questo Report si guarda bene dal riferirlo – un mancato riscontro a un’istanza per l’accesso a taluni dati personali, un’istanza riscontrata tardivamente da ITA, solo dopo l’intervento del Garante.

Oggettivamente, per chiunque si occupi di privacy, certamente una violazione delle regole ma una di quelle, se episodica, minore.

Sostiene Report che io non mi sarei astenuto nonostante ITA fosse difesa dal mio vecchio Studio e che, addirittura da relatore del provvedimento, avrei proposto l’ammonimento anziché una sanzione.

E, però, nel corso dell’intervista avevo spiegato alla giornalista di non essermi astenuto perché non a conoscenza del coinvolgimento del mio vecchio Studio nella difesa di ITA e, in questo caso, in effetti, non ero a conoscenza perché il mio vecchio Studio non aveva difeso ITA nel procedimento.

Di vero c’era che un avvocato entrato nel mio vecchio Studio dopo la mia uscita era, all’epoca, DPO di ITA ma, questo, io, non potevo saperlo non risultando dagli atti del procedimento arrivati in adunanza per la decisione e non potendo certo conoscere gli incarichi professionali di un avvocato con il quale non ho mai condiviso neppure un giorno di permanenza nello stesso Studio.

Ancora una volta, a me pare, che se si volesse fare buona informazione, forse, si sarebbe dovuto evitare di dare a pensare ciò che non è stato.

Senza dire, anche in questo caso, che l’ammonimento era la proposta proveniente dagli stessi uffici che avevano curato l’istruttoria qualificando la violazione come minore, che l’ammonimento è, generalmente, la sanzione per questo genere di violazioni e che, ancora una volta, il provvedimento è stato adottato all’unanimità con conseguente irrilevanza del mio voto.

Insomma, non dovevo astenermi non essendo il mio vecchio Studio coinvolto nella difesa della società, non avrei comunque potuto farlo non sapendo che un professionista del mio vecchio Studio era DPO di ITA e, anche qualora mi fossi astenuto, non sarebbe cambiato assolutamente nulla.

Tanto rispetto, sempre e comunque per l’inchiesta di Report e, però, quanto raccontato e lasciato intendere sul punto è tanto tanto lontano da quanto accaduto.

 Vengo alla seconda questione contestatami nel corso della puntata: il mio ruolo nel procedimento relativo ai Rayban Stories.

Qui, francamente, la ricostruzione di Report mi ha lasciato basito perché nel procedimento in questione, semplicemente, non ho avuto nessun ruolo essendomi astenuto.

Secondo Report, nel corso dell’istruttoria del Garante, sui famosi occhiali di Meta con la telecamera incorporata, io avrei anticipato il mio punto di vista e, addirittura, “promosso” gli occhiali quasi fossi un agente commerciale del produttore.

È falso.

Le date e i documenti a disposizione di Report sono li a dimostrarlo.

Io ho, effettivamente, parlato dei Rayban Stories all’indomani del loro sbarco sul mercato italiano nel corso di una puntata di Garantismi, un video-podcast con Matteo Flora, l’11 ottobre 2021 mentre l’istruttoria degli uffici del Garante sugli occhiali è stata avviata il 22 febbraio 2023.

Credo siano fatti importanti perché una cosa è dire la propria su un’istruttoria in corso e una cosa è fare, secondo me, il mio dovere, non certamente quello di “promuovere” gli occhiali [nel video, del quale Report ha scelto di mandare in onda una manciata di secondi poco chiari, dico espressamente che non ho certo comprato l’occhiale per diventarne uno sponsor o un testimonial] ma, al contrario, quello di mettere le persone sull’avviso dello sbarco sul mercato di un prodotto capace di ridisegnare i confini del pubblico e del privato, raccontando ciò che pensavo e continuo a pensare e cioè che non si fosse tanto davanti a un trattamento illecito di dati personali del produttore del dispositivo o del fornitore dei servizi collegati contro il quale reagire a colpi di carte bollate ma davanti a un nuovo fenomeno di consumo che richiedeva una risposta forte di carattere culturale e educativo.

Era e per la verità resta la mia opinione.

Poi che fosse o meno opportuno che io la esprimessi in quel momento, mentre i primi occhiali venivano inforcati dai consumatori italiani è qualcosa di cui si può ovviamente discutere.

Io all’epoca mi sono risposto che non solo era opportuno ma necessario e ho comprato gli occhiali (ovviamente pagando il conto di tasca mia prima che qualcuno pensi male!), li ho provati e ho raccontato i rischi che vedevo e i rimedi che mi sarebbe sembrato opportuno adottare di corsa.

Quando successivamente gli uffici dell’Autorità hanno deciso di aprire un’istruttoria e verificare se vi fossero illeciti privacy addebitabili al produttore degli occhiali o al fornitore dei servizi collegati, Meta appunto, per ragioni di opportunità e non per obbligo di legge, mi sono fatto da parte e mi sono astenuto dal voto.

Questi i fatti.

Il resto sono gravi inesattezze facilmente evitabili, utilizzate – in buona o cattiva fede – per supportare suggestioni, illazioni e accuse, anche molto gravi.

Altre responsabilità specifiche, mi pare, Report non mi imputi pur ritraendomi complessivamente come un componente del Garante che avrebbe favorito il suo vecchio Studio Legale e un gigante del trattamento dei dati personali del calibro di Meta.

Un giudizio, in tutta sincerità, piuttosto pesante sulla base degli elementi fattuali raccolti nell’inchiesta.

Qualcuno mi ha chiesto se intenda querelare Report o trascinarlo in Tribunale per chiedere e, probabilmente, ottenere un risarcimento dei danni.

La risposta, per quanto mi riguarda è negativa.

Non lo farò.

Preferisco contrastare la disinformazione con l’informazione, quella che avevo provato a diffondere prima dell’inchiesta nel modo più trasparente possibile e mettendoci la faccia e quella che condivido oggi qui, tornare a lavorare perché c’è davvero tanto, troppo da fare e, naturalmente, restare a disposizione di chiunque volesse pormi ulteriori domande per capire meglio e di più quanto accaduto e, poi, formarsi il proprio convincimento.

Buona settimana.