CIVILTÀ DEI DATI | Le leggi del Neuroverso

Fondazione Leonardo – Di Guido Scorza

Con il progresso scientifico e tecnologico si stanno erodendo, giorno dopo giorno, i confini tra il paranormale, l’immaginifico, il fantascientifico e la realtà. Ciò che ieri era fantascienza oggi è realtà e, presto, sarà storia.

È così anche – e verrebbe da dire soprattutto – in relazione alle cose delle neuroscienze e neurotecnologie che, in una manciata di anni, hanno trasformato in realtà idee e fenomeni nati negli studi sul paranormale e, poi, diventati protagonisti di letteratura e cinematografia fantascientifica.

Il nostro cervello – che Leonardo da Vinci chiamava “il conservamento nascosto delli sensi umani che s’incontrano collo spirito in questa scatola del mistero” – è nudo o, almeno, lo sarà presto. Le nostre idee, le nostre emozioni, i nostri pensieri, le nostre opinioni, il contenuto del nostro cervello, incluso l’inconscio è – e sarà sempre di più – accessibile dall’esterno senza bisogno di interventi chirurgici per introdurre nel nostro cranio cavi o elettrodi di sorta.

E siamo solo all’inizio di una rivoluzione che promette – e ha, in realtà, già iniziato a realizzare – quelli che ieri avremmo definito miracoli: restituire a persone che le hanno perse la possibilità di muoversi e comunicare.

C’è già – e, anzi, è già nella storia delle neuroscienze e neurotecnologie – un ragazzo che, condannato da un incidente stradale su una sedia a rotelle e paralizzato dalla vita in giù, nel 2014 ha tirato il calcio di inizio dei mondiali di calcio in Brasile davanti agli occhi attoniti di miliardi di persone. E c’è un “Paziente 23” – seguito in realtà da centinaia di altri – che, pur essendo in stato vegetativo, ha risposto ha una serie di domande di un’equipe medica.

Ma, accanto, a queste e tante altre storie straordinarie in ambito clinico, neuroscienze e neurotecnologie stanno ridisegnando la mappa dell’elettronica di consumo in ambito extra-clinico: abiti di alta moda che cambiano forme e colori leggendo il cervello di chi li indossa, fasce e caschetti per giocare ai videogame o controllare droni, dispositivi capaci leggere i nostri pensieri e soddisfare i nostri desideri senza che noi si debba neppure proferire parola, in auto o a casa.

E non c’è, ormai, salone internazionale dell’elettronica, nel quale non venga presentato un nuovo prodotto o servizio neurotecnologico.

Tutto questo significa inesorabilmente un aumento esponenziale di dati provenienti dai nostri cervelli, quelli che iniziano a essere definiti neurodati, generati e messi in circolazione come si trattasse di un qualsiasi altro tipo di dato personale, abbandonati alla deriva nell’ecosistema digitale alla mercé di chiunque voglia raccoglierli e sappia processarli per conoscerci sempre meglio.

Ancora poco e chi fa marketing non avrà più bisogno di provare a desumere chi siamo e cosa desideriamo da come ci comportiamo ma potrà direttamente leggerlo nella nostra mente.

E non basta: perché una volta che i pensieri inespressi diventano accessibili e decodificabili in linguaggio umano, anche sovrascriverli, modificarli, manipolarli, cancellarli diventa possibile.

La lettura della mente umana e la manipolazione celebrale applicata al marketing, rappresentano, ormai, la prossima frontiera del neuromarketing.

Libertà di pensiero, libertà cognitiva, diritto all’autodeterminazione nelle scelte di mercato e non solo, sono e saranno sempre più fragili e vulnerabili.

E non ci sono solo i mercati.

Governi e regimi autoritari o diversamente democratici ricorrono e ricorreranno, sempre più di frequente, a neuroscienze e neurotecnologie per forme sempre più pervasive di sorveglianza di massa.

Gli alibi sono sempre gli stessi: più sicurezza sul lavoro e sulle strade, maggiori chance di prevenire incidenti e di reprimere sul nascere episodi di criminalità.

Si parte, insomma, sempre con la scusa che i benefici sono evidenti, indiscutibili, irrinunciabili e, così, si educano le persone prima ad accettare e poi a trovare naturale che le loro menti diventino trasparenti.

Il passo da scenari di questo genere a forme di giustizia predittiva nuove e inedite, salvo che in film e romanzi di fantascienza è brevissimo: persone portate a processo non per reati che hanno commesso ma per reati che hanno pensato di commettere.

Accadrà o, forse, sta già accadendo senza che noi si abbia il tempo di rendercene conto.

E qui tornano in mente le parole di Luis Brandeis, papà del diritto alla privacy globale, autore, nel 1890, con Samuel Warren di The right to privacy e, poi Giudice alla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America dove, nel 1927, in una celeberrima dissenting opinion, nel caso Olmstead, uno dei primi processi al mondo basato sull’intercettazioni telefoniche, scrisse: “Il progresso della scienza nel dotare il Governo di mezzi di spionaggio non si fermerà alle intercettazioni telefoniche. Si potrebbero sviluppare dei modi attraverso i quali il Governo, senza rimuovere documenti da cassetti segreti, potrà produrli in tribunale e con i quali sarà consentito esporre a una giuria gli eventi più intimi che si consumano in una casa. I progressi nelle scienze psichiche e correlate possono portare mezzi per esplorare convinzioni, pensieri ed emozioni inespressi”.

Quel giorno è arrivato, quel giorno è oggi.

E tocca a noi governare l’impatto di neuroscienze e neurotecnologie sulla società.

Ma come farlo?

Tra tanti elementi di incertezza c’è una certezza: non si può e sarebbe sbagliato provare a frenare l’innovazione in ambito neuroscientifico e neurotecnologico.

I vantaggi all’orizzonte sono troppo preziosi e, in ogni caso, le regole non hanno mai avuto e non avranno mai la forza di sbarrare la strada all’innovazione.

Si può e si dovrebbe, però, provare a orientarla nell’unica direzione verso la quale la vera innovazione dovrebbe sempre correre: la massimizzazione del benessere collettivo.

Sul come riuscire nell’intento c’è spazio, come sempre, per soluzioni diverse.

Qualcuno propone l’introduzione di nuovi neurodiritti.

Personalmente, in una stagione della vita nel mondo nel quale scienze e tecnologie corrono più veloci di sempre, mi sembrerebbe più utile “aumentare” i diritti che abbiamo: più una privacy aumentata insomma che una nuova privacy mentale.

Troppo elevato il rischio di un’inflazione dei diritti e, soprattutto, guai a dimenticare che la migliore delle regole, se arriva tardi è del tutto inutile nel migliore degli scenari, controproducente nel peggiore.

L’unico imperativo categorico dovrebbe essere scongiurare il rischio che a dettare le regole del neuroverso sia l’industria tecnologica come spesso accaduto in altri ambiti.

Qui la posta in gioco è più alta di sempre perché in gioco ci sono libero arbitrio, umanità e democrazia.

FONTE: https://76190749.flowpaper.com/CiviltadatoSECONDONUMEROconcoverDEF2/