Se addirittura una leggenda vivente del calibro di Sir James Paul McCartney decide che non può rimanere in silenzio e che deve far sentire la sua voce non solo per cantare, allora, forse, potremmo e dovremmo trovarci tutti d’accordo che il problema esiste e che va affrontato con l’urgenza e la determinazione che merita.
Il problema in questione è quello del patrimonio artistico globale, musica inclusa, letteralmente espropriato a artisti, creatori e umanità, raccolto, vivisezionato e riutilizzato come materia prima o asset tecno-commerciale dalle fabbriche degli algoritmi per consentire ai loro servizi, basati sull’intelligenza artificiale, di generare – ma non di creare – ogni emulazione di opera dell’ingegno umano ma senza l’ingegno umano. Caro algoritmo scrivimi una canzone su questo argomento come la scriverebbero i Beatles e fallo in modo che abbia successo in questo determinato mercato.
Un prompt – un comando ma tanto ormai sappiamo tutti che significa – di questo genere è, ormai, realtà e se non lo è sino in fondo lo sarà, continuando di questo passo, nello spazio di qualche mese, perché si fa fatica, considerato il ritmo dell’innovazione nel settore dell’intelligenza artificiale, a parlare di anni.
Tutto regolare?
Una situazione sostenibile, specie considerato che pochi e, anzi, pochissimi guadagnano e guadagneranno dallo sfruttamento dello straordinario patrimonio artistico dell’intera umanità che, pure, non esisterebbe senza l’estro, la creatività e l’ingegno di qualcun altro? La convinzione di McCartney è che la risposta sia negativa. E, quindi, ha appena invitato il Governo inglese a pensarci bene prima di scrivere le regole destinate a governare la materia.
“Voi siete il Governo e noi i cittadini” ha detto McCartney. “Dovete proteggerci”.
Il caffè del mattino è troppo corto per affrontare la questione con l’attenzione e la profondità che meriterebbe e con le quali se ne sta discutendo, per fortuna – anche se tardivamente – ovunque nel mondo.
E, però, è una questione drammaticamente seria e da affrontare con urgenza, riconoscendo, credo, che le regole che abbiamo, anche in Europa, non bastano.
Io, poi, personalmente, resto convinto che dentro un’opera d’arte di un artista ci siano frammenti dell’identità personale di quell’artista e che nessuno, fabbriche di algoritmi incluse, dovrebbe poter far sua quell’opera e riutilizzarla in una dimensione commerciale e, anzi, industriale senza il consenso dell’artista.
E questo, credo, sia ancora più vero quando il riuso serve a inoculare dentro un contenuto non generato dall’artista in questione, il suo stile, il suo spirito, il suo modo di scrivere, disegnare o cantare e tanti altri tratti unici e distintivi della sua personalità.
C’è da augurarsi che, la prossima volta, McCartney, oltre al copyright invochi il rispetto della sua privacy a difesa dei frammenti della sua identità racchiusi nel suo patrimonio artistico.
Ma questo discorso ci porterebbe lontani.
Per ora, quindi, semplicemente, buona giornata e, come sempre, goodmorning privacy!