21/08/2025 – Di Giulia Boero
Guido Scorza, membro del collegio: “Quando i video circolano su gruppi o chat private ormai è troppo tardi. Serve maggiore tutela”
Come può un cittadino tutelarsi nel caso gli venissero rubati e messi online i video registrati dalle telecamere di sorveglianza? Guido Scorza, membro del Garante della Privacy, racconta come il collegio ha deciso di intervenire sulla vicenda che ha coinvolto Stefano De Martino.
«La prima fase è legata all’urgenza di fermare la diffusione del materiale. Abbiamo adottato un provvedimento, rivolgendoci a tutte le piattaforme su cui il video è approdato. Abbiamo comunicato a chi non ha ancora condiviso quel contenuto, ma avesse pensato di farlo, che l’azione potrebbe rappresentare un illecito. Poi, siccome De Martino e la compagna hanno chiesto di accertare l’illecito, abbiamo aperto un’istruttoria per identificare tutti i responsabili».
Sarà possibile rintracciarli?
«Tecnicamente si, ma sarà difficile identificare chi per primo si è appropriato di quel contenuto.
Alcune piattaforme sulle quali il video è stato trovato sono facili da rintracciare. Quello che bisognerà capire è se le aziende proprietarie hanno sede in Europa o in un Paese dove il diritto internazionale può fare poco».
Possiamo dire quindi che ciò che finisce online, rimane online?
«Nel momento in cui qualcuno ha accesso a un contenuto privato, vietare la sua circolazione e garantire la privacy è difficile. Spesso i video vengono condivisi su chat di Telegram o WhatsApp, e lì non è più possibile intervenire. Nel caso specifico di cui si parla, noi limiteremo la circolazione del contenuto, ma non la potremo impedire in maniera radicale: è troppo tardi. Niente esclude che tra sei mesi o un anno quel contenuto torni a girare».
Il sistema di hackeraggio che ha colpito De Martino e la compagna, coinvolgerebbe migliaia di case in tutto il mondo.
«Già mesi fa avevamo avvisato gli utenti del fenomeno. Molte persone oggi comprano una o più telecamere su piattaforme di commercio come Amazon per installarle in autonomia
collegandosi al wifi domestico. Sono telecamere che quasi sempre possono essere controllate
dall’esterno, dallo smartphone. Il tema è che come accedi tu, lo possono fare anche terzi. In più, molti non cambiano le password, ne scelgono una banale, o lasciano impostata quella di sistema».
É solo questione di password?
«No. Sarebbe meglio per esempio installare le telecamere a presidio di porte e finestre e non – come in questo caso – del letto, del divano o dei bagni. Questo perché video con scene anche esplicite
potrebbero essere poi pubblicati su specifiche piattaforme».
Molti video sono apparsi su piattaforme criptate e nel dark web. Il Garante può monitorare anche questo tipo di ambienti?
«Non c’è limitazione nei poteri di cui disponiamo, ma cambia l’efficacia: ciò che è pubblico è più accessibile nel corso di qualsiasi istruttoria. Non è detto che si riesca ad accedere al contenuto criptato e in generale la difficoltà sta nell’identificare l’illecito, più che il suo responsabile. In più, andare a decriptare un contenuto chiuso, potrebbe in qualche modo ledere ulteriormente la privacy, perché magari in quel contenuto c’è qualcosa di perfettamente lecito, ma protetto dall’interessato».