L’ESPRESSO | Big Tech e regolatori firmino un New Deal

08/08/2025 – Di Guido Scorza

Big tech e regolatori firmino un New deal: le norme strangolano l’innovazione, la tecnologia cancella la privacy

Oscilliamo continuamente tra queste opposte visioni. Serve un accordo per liberarsi tanto del labirinto legislativo quanto dei falsi alibi dell’industria tecnologica

Basta aprire il giornale la mattina, accendere la televisione o la radio o scorrere la streamline dei social network per leggere e sentir parlare di come la regolamentazione – in particolare quella europea, ancora di più quella in materia di privacy – stia strangolando l’innovazione o, al contrario, di come la tecnologia stia travolgendo la regolamentazione o cancellando la privacy.

Regole, privacy in testa e innovazione antagonisti, nemici giurati, rivali belligeranti. «In questo momento ci troviamo di fronte alla straordinaria prospettiva di una nuova rivoluzione industriale, alla pari dell’invenzione della macchina a vapore», ha detto il vicepresidente degli Stati Uniti d’America, JD Vance qualche mese fa intervenendo all’AI Summit, organizzato dal presidente francese Macron a Parigi, «ma non si realizzerà mai se l’eccessiva regolamentazione dissuaderà gli innovatori dall’assumersi i rischi necessari per far progredire il progetto», ha aggiunto. E alle parole del vicepresidente americano pronunciate a Parigi, poche settimane dopo, hanno fatto eco quelle arrivate a Washington, alla Casa Bianca, dalla Silicon Valley, dai rappresentanti delle più grandi fabbriche globali degli algoritmi, Sam Altman di OpenAI, in testa, in risposta alla consultazione pubblica lanciata dall’amministrazione Trump proprio in materia di regolamentazione dell’intelligenza artificiale: se la pressione regolamentare, in particolare in materia di copyright e privacy, non si allenta, l’industria americana dell’Ia non potrà competere con quella cinese e il nostro – loro – Paese è destinato alla sconfitta.

Un messaggio tanto duro quanto chiaro. Chi vuole fare l’America grande di nuovo come il presidente americano Donald Trump, secondo i capitani dell’industria tecnologica, dovrebbe, innanzitutto, tirare il freno della regolamentazione, proprio a cominciare dalla privacy e dal copyright. Ma le cose stanno davvero così? Privacy e regolamentazione sono davvero nemiche dell’innovazione?

La risposta sintetica, per i lettori più pigri, è no, le cose non stanno così. Ma, naturalmente, sono più complicate di così. In linea di principio non esiste, non può esistere, non deve esistere alcuna contrapposizione tra regole, privacy in testa, e innovazione e, anzi, al contrario, la regolamentazione, in una società democratica, è il più efficace degli strumenti per orientare l’innovazione nell’unica direzione verso la quale dovrebbe andare: la massimizzazione del benessere collettivo, una direzione, val la pena scriverlo senza reticenze, quasi opposta rispetto a quella verso la quale stanno facendo rotta le grandi fabbriche globali degli algoritmi, seguendo, per la verità, a passo accelerato, la strada già battuta dalle big tech ai tempi di Internet.

Guai, tuttavia, a confondere i principi con la realtà. Quando si dice che la regolamentazione ha un effetto positivo sull’innovazione e sulla società, infatti, inesorabilmente, si pensa alla relazione tra buona regolamentazione e buona innovazione e, sfortunatamente, questa relazione è diversa da quella che si registra, in questo momento, nella società globale della quale non sono protagonisti né la migliore regolamentazione possibile, né la migliore innovazione possibile, per responsabilità equamente distribuite tra regolatori e fabbriche di algoritmi e, più in generale, di tecnologie. Vale la pena metterle sul tavolo senza far sconti a nessuno, iniziando – data la mia vicinanza di ruolo e funzioni ai regolatori – proprio dalla maggior responsabilità di chi scrive le leggi ed è chiamato a applicarle.

Natalino Irti, giurista straordinario, raffinato e illuminato, negli anni ’70, puntando l’indice verso il florilegio di leggi speciali che minavano l’esaustività e la sistematicità dei codici scriveva che il compito principale dei regolatori è quello di offrire agli imprenditori regole certe nel rispetto delle quali fare impresa. È quello che oggi manca di più o, per essere più severi – ma non credo troppo –  nei confronti di Istituzioni, regolatori, Autorità e Agenzie è l’obiettivo che stiamo facendo più fatica a centrare: non riusciamo a garantire un adeguato livello di certezza del diritto in tempo utile.

E, però, le responsabilità non stanno tutte da questa parte del campo. La maggiore delle responsabilità dell’industria – fabbriche di algoritmi in testa – è pensare o, almeno dare a pensare, che la cosiddetta impossibilità tecnologica di rispettare le regole possa rappresentare un alibi per ignorarle.

Quello che sta accadendo, infatti, è che l’industria progetta e sviluppa tecnologie con scientifica consapevolezza della loro incompatibilità con le regole vigenti e, poi, quando viene chiamata a rispettarle, invoca l’esimente della pretesa impossibilità tecnologica a rispettarle, un’esimente che, a prescindere da ogni altra considerazione, evidentemente non può sollevare da responsabilità e colpe chi si è deliberatamente e consapevolmente posto nella condizione di non rispettare le regole. Se si ha un’idea innovativa e ci si rende conto che ci sono regole che inutilmente ne impediscono la realizzazione, in democrazia, si bussa alla porta dei regolatori e si chiede di cambiarle, dimostrando che la modifica produce effetti migliori rispetto al loro mantenimento in vigore. Ma non si può sovrascrivere quelle regole a colpi di tecnologia perché quando questo avviene la tecnocrazia si sostituisce alla democrazia e, specie in un contesto in cui il potere tecnologico è saldamente nelle mani di pochissimi, lo scenario diventerebbe rapidamente insostenibile.

Ecco, forse, è davvero arrivato il momento di chiuderci tutti – regolatori, Industry e società civile – dentro una grande aula globale, riconoscere le differenti responsabilità e firmare un new deal tra regolatori e innovatori nell’interesse dell’umanità.