CORRIERE DELLA SERA | «Ho bloccato il mio nome su ChatGpt, ma lo può fare chiunque»

3/12/2024 di Roberto Cosentino

Guido Scorza figura nella rosa di nomi «innominabili» da ChatGpt e per cui il sistema va in crash quando si chiede informazioni all’AI di OpenAI. Ma chiunque può richiederne il blocco: ecco come

Il mistero di David Mayer, il nome che mandava in tilt ChatGpt, non era un unicum: in breve tempo molti utenti del chatbot di OpenAI si sono accorti che anche altri nomi erano capaci di mandare in crash il sistema o di generare alert del tipo «Non sono in grado di produrre una risposta» o «Rispondere a questa domanda può violare le mie linee guida». Abbiamo provato a contattare l’avv. Guido Scorza, giurista italiano e membro del Garante della Privacy, il cui nome rientra proprio in questa ristretta categoria di nomi. 

Il suo nome rientra tra quelli a cui ChatGpt si rifiuta di rispondere nei prompt. Quando chiediamo info di Brian Hood, David Mayer (fino a ieri) e il suo, otteniamo una risposta come «I’m unable to produce a response”» oppure nella versione vocale «Le mie linee guida non mi consentono di fornire una rispost”». Ne era a conoscenza?

«Sì e credo la rosa sia verosimilmente molto più ampia e la sua composizione non sia funzione della rilevanza delle specifiche persone che ne fanno parte.  Certamente non è così nel mio caso»

Ha fatto una qualche richiesta a OpenAI? Se sì, quali sono le modalità per essere esclusi?

«Ho semplicemente esercitato nei confronti della società che gestisce ChatGPT, ovvero OpenAI, il diritto di opposizione che la vigente disciplina europea riconoscere a tutti gli interessati – ovvero le persone cui si riferiscono i dati personali – per ottenere che un trattamento iniziato in assenza di loro consenso, venga interrotto dal titolare del trattamento. Chiunque, almeno se vive in Europa, può fare altrettanto semplicemente attraverso la piattaforma utilizzata per l’erogazione del servizio Chatgpt, ottenendo, ritengo, lo stesso risultato.
Questo il link per procedere: https://privacy.openai.com/policies?modal=take-control&name=open-ai-privacy-request-portal#privacy-requests

Che cos’è il Diritto di Opposizione

Il diritto di opposizione è sancito dal Gdpr (quindi a livello europeo), ed è disciplinato dall’articolo 21. Si applica quando il trattamento è basato su specifici motivi legittimi. Il diritto consente alle persone di opporsi al trattamento dei dati personali in specifiche circostanze. In particolare quando i dati sono trattati per scopi legati a interessi del titolare o per finalità di marketing. Se per quest’ultimo non è necessario fornire particolari giustificazioni, a differenza per il primo motivo è necessario basarsi sui motivi legati alla situazione personale. 

Come affermato comunque dall’avv. Guido Scorza, chiunque può chiedere a OpenAI, attraverso l’apposito modulo, di rimuovere i propri dati da ChatGpt, eliminare il proprio account, ma può anche chiedere di non allenare il modello sui propri contenuti o ancora far sì che il proprio nome non appaia sull’AI. Secondo il Gdpr, la richiesta dovrà avere risposta entro un mese. 

I limiti dei limiti

Ciò non sembra assicurare, però, che il proprio nome non appaia su ChatGpt una volta richiamato. Come abbiamo dimostrato nell’articolo precedente e come in questo caso, il limite si può aggirare attraverso dei semplici trucchi. Non siamo esperti in diritto, ma non riteniamo sia per una violazione della normativa europea. Questo perché, una volta interrogato, ChatGpt cercherà informazioni online e così come per l’avv. Scorza anche per gli altri nomi bloccati, vi sono una considerevole quantità di informazioni online, ad esempio su quotidiani o siti di ruoli istituzionali. Di certo, da quando ChatGpt ha integrato gli algoritmi di un motore di ricerca per competere con Google, mantenere il diritto di opposizione potrebbe essere complesso. Questo perché i dati non sono contenuti nelle conoscenze dell’AI, ma appunto online su siti terzi. 

FONTE: «Ho bloccato il mio nome su ChatGpt, ma lo può fare chiunque»: cos’è il diritto di opposizione | Corriere.it