L’informazione ai tempi dei chatbot è una sfida epocale per editori e lettori
Intervento di Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali
(Milano Finanza, 21/06/2025)
Motori di ricerca e social network hanno ormai da tempo sostituito gli editori di giornali nel ruolo di intermediari tra i fatti e i lettori e imposto a questi ultimi di accettare di vedere i loro contenuti tecno-intermediati. Leggiamo quello che Google e i suoi concorrenti ci propongono nelle prime pagine dei risultati di una ricerca o quello che Facebook, X, Instagram o TikTok inseriscono nelle nostre streamline. Tutto il resto, un universo sterminato di contenuti, pure preziosi, di qualità e talvolta capaci di soddisfare meglio taluni nostri appetiti informativi, è come se non esistesse. C’è ma non si vede, si potrebbe dire con una battuta.
L’informazione oggi funziona così: la dieta mediatica dell’intera umanità è dettata da pochissime società commerciali che hanno conquistato uno straordinario potere di orientamento di massa dell’opinione pubblica globale. Potremmo chiamarla algocrazia informativa. L’unico elemento di attenuazione di una situazione altrimenti democraticamente insostenibile sin qui è stato rappresentato dalla circostanza che i contenuti intermediati erano prodotti da una pluralità di imprese editoriali e che, sebbene nei limiti di quanto propostoci dai giganti dell’intermediazione nelle prime pagine dei risultati delle ricerche o nelle streamline dei social, sin qui ciascuno di noi ha potuto scegliere cosa leggere e cosa non leggere e dunque attraverso gli occhi di quale editore guardare la realtà. Una sorta di libertà di informazione condizionata, insomma.
Ma questo è il presente che si avvia a diventare passato per lasciare il posto a un futuro – già quasi presente – che si presenta decisamente più sfidante tanto per gli editori che per i lettori. I motori di ricerca infatti stanno cedendo il passo alle intelligenze artificiali generative: ChatGPT, GeminiAI, CoPilot, tanto per citarne alcune che hanno già conquistato un pubblico di miliardi di persone. Il cambio di paradigma si vede e si vedrà ancora di più nei prossimi mesi: dalla semplice organizzazione delle informazioni prodotte da terzi alla generazione e distribuzione globale di informazione auto-generata artificialmente sebbene cucinando redazionalmente, riassumendo e rimaneggiando i contenuti prodotti dagli editori. Prima della fine di quest’anno un miliardo di persone utilizzerà ChatGPT e, almeno in parte, lo farà anche per informarsi. D’altra parte perché perder tempo a leggere uno o più giornali se in pochi secondi si può chiedere a ChatGPT cosa sta accadendo tra Iran e Israele o quali sono le posizioni più significative che emergono dal G7 in corso in Canada? E la stessa cosa sta accadendo sulle pagine di Google: basta lanciare una degli oltre 3,5 miliardi di ricerche quotidianamente evase dal gigante californiano per averne dimostrazione.In cima alla pagina dei risultati sempre più spesso ormai, compare un riassunto generato dall’intelligenza artificiale – si chiama AI Overview – che prova a rispondere, in breve e in linguaggio umano, alla nostra curiosità. Sotto, naturalmente, tanto nel caso di ChatGPT e degli altri servizi basati sull’intelligenza artificiale generativa che nel caso di Google e degli altri motori di ricerca, resta l’elenco dei link alle fonti all’origine della generazione del contenuto. Ma il nostro cervello è pigro e, nella più parte dei casi, se gli si offre una risposta sintetica, facile e accessibile, ci suggerirà di considerarla sufficiente, senza bisogno di verifiche né approfondimenti.
Ci abitueremo rapidamente a informarci così, come ci siamo abituati in fretta all’informazione mordi e fuggi dei post sui social, a desumere dal titolo il contenuto di un articolo, a non spingerci oltre la seconda o terza pagina tra i risultati delle ricerche propostici da Google e dagli altri motori di ricerca. Anche perché, oltre ai chatbot diversamente intelligenti di tipo testuale, ci sono gli assistenti vocali intelligenti, pronti a rispondere a ogni nostra domanda sollevandoci persino dalla fatica di dover scrivere qualcosa sullo schermo di uno smartphone o di un computer.
Difficile non interrogarsi sul destino dell’informazione in un contesto di questo genere, tanto dal lato degli editori che da quello dei lettori. Questi ultimi sembrano destinati a barattare una fetta importante della libertà residua di informarsi sull’altare dell’usabilità delle interfacce di ricerca e dei servizi di intelligenza artificiale generativa. Uno dei più preziosi dei diritti, quello a informarci, in cambio di una vita più facile. Ma non solo. Perché quello che ci aspetta, da lettori, è anche un ulteriore compressione del pluralismo informativo: dalla lettura di ciò che ci viene suggerito in cima ai risultati delle ricerche alla lettura di ciò che viene riassunto dai modelli di intelligenza artificiale generativa. Sembra la strada verso un pensiero unico globale.
Ma il futuro degli editori non si presenta più roseo. L’intermediazione dei loro contenuti a mezzo riassunti generati artificialmente, tanto per cominciare, disintermedierà inesorabilmente sempre di più il rapporto con i lettori perché le testate dei giornali saranno sempre meno identificabili, offuscate sempre di più dal brand del gigante tecnologico di turno. E questo avrà un impatto enorme sulla fidelizzazione dei lettori e sugli investimenti pubblicitari, con il valore delle pagine dei giornali digitali destinato a crollare con tutto ciò che ne consegue.
Ma prima ancora il problema è un altro: fino a che punto è sostenibile una condizione nella quale una manciata di giganti tecnologici prima cannibalizza letteralmente decenni di produzione editoriale contenuta negli archivi storici dei giornali di tutto il mondo per addestrare i propri algoritmi senza neppure chiedere permesso e poi, pretendendo di continuare a utilizzare anche i contenuti prodotti quotidianamente, di fatto si presenta al pubblico come concorrente globale dei medesimi editori? Perché questo è quello che sta accadendo. Quali sono le scelte degli editori in un contesto di questo genere? In realtà non troppo diverse da quelle che furono ai tempi dell’esplosione del fenomeno dei motori di ricerca.
La prima è provare a opporsi all’utilizzo dei loro contenuti da parte delle fabbriche globali di algoritmi: una battaglia straordinariamente nobile che tuttavia pochi possono permettersi di combattere e che non è scontato che qualcuno possa vincere. La seconda è scendere a patti con le fabbriche degli algoritmi accettando l’idea che presto ci informeremo tutti chiacchierando con un chatbot. Qui c’è da provare a costruire un rapporto simbiotico nel quale l’editore mette i propri contenuti e le fabbriche di algoritmi la tecnologia, ma serve identificare termini e condizioni capaci di garantire la valorizzazione dei contenuti editoriali e, attraverso essi, libertà e dignità dell’editore assieme al rispetto dei lettori che devono poter far affidamento sulla qualità dell’informazione. È una strada inesorabilmente in salita ma lungo la quale serve sperimentare, un po’ come sta accedendo con MF-GPT. L’opportunità è evidente: offrire al lettore un’esperienza analoga a quella che troverebbe sulle pagine di Google, ChatGPT e gli altri ma senza rinunciare al rapporto privilegiato con una fonte, la testata del giornale, che ha scelto. La sfida è epocale ma non ci si può sottrarre dal combatterla nel nome della libertà di informazione, pietra angolare della nostra democrazia.