13/08/2025 – Di Flavia Piccinni e Carmine Gazzanni
È una vera e propria corsa all’oro. Dove il prezioso non sta nel metallo, ma in esami del sangue, referti e cartelle cliniche digitali. Insomma, i nostri dati sanitari. Parliamo di un mercato in rapidissima espansione e dal valore stellare che si declina nei modi più diversi, dagli algoritmi avanzati sviluppati da assicurazioni, ad app di monitoraggio per raccogliere parametri biometrici finalizzati alle aziende farmaceutiche.
Un mare magnum in cui i dati più personali si rivelano fondamentali per allenare l’Intelligenza artificiale, ma anche per creare modelli predittivi e strategie di marketing personalizzate. «Le compagnie assicurative e le banche li utilizzano per valutare il rischio dei clienti, mentre le aziende farmaceutiche li impiegano per la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci», spiega un insider che chiede l’anonimato. «A gestirli poi ci sono sempre le solite big tech, che li maneggiano rispettando la privacy. Almeno sulla carta. Di certo i dati sanitari sono considerati una risorsa dal valore inesauribile essenziale per migliorare diagnosi, cura e prevenzione. Ma anche per capire chi si ha davanti».
Effettivamente, analizzando i principali animatori del mercato è facile comprenderne gli intenti:
al primo posto spiccano le compagnie assicurative (che nel 2024 rappresentavano circa il 44 per cento del mercato globale), seguite da aziende farmaceutiche e biotech (circa il 40 per cento dei dati monetizzati), nonché da provider tecnologici, medtech, startup la.
Ma quanto vale questo business? Le stime parlano di cifre astronomiche: tra i 56 ei 67 miliardi di E dollari, con prospettive di crescita significative nei prossimi anni. Anche in Europa, dove raggiungeranno (secondo Kbv Research) valori esponenziali. Esemplare la Germania: si prevede che qui entro i prossimi cinque anni il giro d’affari sarà di oltre 80 milioni di dollari.
Per quanto ancora marginale, il mercato italiano ha generato l’anno scorso 21,7 milioni di dollari, con una previsione nel 2030 di 67,2 milioni di dollari. Anche per questo le normative sono in continuo aggiornamento. L’ultima legge europea sul tema, la European Health data space, è entrata in vigore il 26 marzo 2025 e introduce obblighi per l’accesso controllato dei cittadini ai propri dati clinici, regolando la condivisione per scopi secondari, come ricerca e innovazione, tra gli stati membri. Difficile credere, considerato il business, che sarà un freno alle fughe di dati sensibili.
«Effettivamente ci sono stati episodi di utilizzi impropri di dati sanitari», esordisce Guido
Scorza, che da sempre si occupa di diritto nelle nuove tecnologie ed è componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali.
«Al momento ci sono procedimenti pendenti dei quali non posso parlare, ed è facile prevedere che ce ne saranno in futuro semplicemente in ragione dell’enorme valore economico, e non solo, dei dati in questione», riflette. «Le regole ci sono e, talvolta, gli operatori sanitari si lamentano persino della circostanza che siano troppe e troppo restrittive. Ma governare l’uso dei dati in sanità non è facile perché ci sono ipotesi nelle quali possono salvare vite umane, far compiere balzi in avanti straordinari alla ricerca medica e fare la differenza accanto ad altre in cui un loro utilizzo improprio, indiscriminato, sproporzionato può letteralmente distruggere la vita di una persona. È una questione di bilanciamento.
Per questo diventa necessario garantire la privacy dei dati personali senza comprimere il diritto alla salute oltre il limite del sostenibile».
Una sfida complessa in relazione alla quale, secondo molti esperti, non servono nuove regole ma piuttosto il rispetto di quelle già in atto per evitare che i pazienti siano obbligati a scegliere tra diritti, privacy e salute. Centrale ovviamente nel nostro Paese è il fascicolo sanitario, collezione digitale di documenti e dati sanitari e sociosanitari relativi alla vita clinica della persona. Un vero e proprio identikit sanitario formato da referti, lettere di dimissione, prescrizioni farmaceutiche e profilo medico.
«Andrebbe pensato come una sorta di indice che consente ai soggetti autorizzati di accedere all’intera storia clinica di qualsiasi paziente che transiti per il sistema sanitario nazionale. È gestito dal ministero della Salute, mentre i dati ai quali si può accedere sono generati, conservati e trattati da una pluralità di soggetti pubblici e privati, essenzialmente le strutture sanitarie alle quali le persone si rivolgono per analisi, visite, interventi chirurgici. I rischi sono naturalmente numerosi in ragione della qualità e quantità dei dati contenuti», continua Scorza. «Allo stato attuale è accessibile a un numero chiuso di soggetti per finalità che non hanno niente a che vedere con il mercato e, quindi, al netto di episodi patologici e accessi abusivi i dati restano riservati». Anche al netto del loro valore. «Raccontano tantissimo delle nostre vite, e se nelle mani sbagliate potrebbero essere usati per comprimere la nostra libertà in una pluralità di dimensioni: da quella personale, a quella commerciale sino ad arrivare a quella democratica».
Insomma, potrebbero arrecare pregiudizi rispetto a chi viene direttamente coinvolto. «Sempre che i dati contenuti siano corretti» precisa il nostro insider «perché di sovente si presentano errori di trascrizione, o semplicemente vengono caricati degli esami di altri soggetti. Ma il vero problema dal mio punto di vista è la sicurezza: siamo davvero certi che siano protetti?». Difficile rispondere.
«La salute è ormai parte dell’economia dell’attenzione: i dati vengono raccolti, profilati e monetizzati come qualsiasi altra informazione online», spiega Walter Quattrociocchi, ordinario alla Sapienza di Roma e presidente del corso di laurea in Data science. «Questo crea opportunità straordinarie per la ricerca e la medicina persona-lizzata, ma al tempo stesso rischia di trasformare il rapporto medico-paziente in un’interazione mediata da piattaforme la cui logica dominante è commerciale, non etica o sanitaria». L’utilizzo della tecnologia in ambito sanitario presenta però anche un altro rischio, decisamente sottovalutato: la disinformazione e la raccolta di dati in modo fraudolento.
«Oggi le piattaforme digitali e i loro algoritmi privilegiano i contenuti che generano reazioni emotive. Quando si parla di salute, questa dinamica diventa pericolosa: un’informazione sbagliata può tradursi in scelte concrete che incidono sulla vita delle persone», prosegue il professor Quat-trociocchi, da poco in libreria con in che mondo vivi. Pillole di data science per comprendere la contemporaneità (Il Pensiero Scientifico Editore, 128 pp., 13,30 euro). «L’arrivo dei Large language model, o Lim, rende il problema ancora più com-plesso. Sono strumenti che generano testi fluidi e convincenti, ma non “capiscono” ciò che scrivono: ricombinano parole in base alle probabilità con cui compaiono nei dati di addestramento, senza alcuna consapevolezza semantica. Questo alimenta ciò che chiamo epistemia: l’illusione di conoscenza, la sensazione di essere informati perché il testo “suona giusto”, anche se può essere sbagliato o fuorviante. Nel contesto sanitario, questo rischio è enorme: si possono prendere decisioni sbagliate con una sicurezza che prima non esisteva. Gli Llm offrono risposte personalizzate che sembrano autorevoli, ma derivano dalla ricombinazione statistica di frasi viste in addestramento, non da competenza medica o esperienza clinica. Da qui due rischi: l’illusione di avere un’assistenza personalizzata, quando in realtà si sta ricevendo “testo probabile” , e una dipendenza crescente da
strumenti che spostano le decisioni dal cittadino e dal medico verso infrastrutture opache, orientate al mercato più che alla salute pubblica».
Realtà che cercano, in modo del tutto fraudolento, di appropriarsi dei dati sanitari degli utenti e di monetizzare le loro fragilità. Fisiche e non solo.