Avete mai provato a lanciare una ricerca su YouTube scrivendo semplicemente “In love with a chatbot”?
Se lo fate vi imbatterete in migliaia di video, in ogni lingua del mondo che raccontano di storie d’amore tutte egualmente realmente accadute tra persone in carne ed ossa, donne e uomini e chatbot. Quello che abbiamo appena sentito è l’inizio di un’intervista a Alaina Winters, moglie innamorata di un chatbot.
Ma è solo una tra migliaia.
E proprio i chatbot e l’amore, insieme ai chatbot e l’amicizia, il sesso, la morte, la psicoterapia e tanti altri argomenti sono protagonisti del mio ultimo libro scritto per i tipi di Luiss Press con una prefazione di Massimo Chiriatti.
Il titolo è “Diario di un chatbot sentimentale”.
Tanto basta per dover immediatamente confessare la natura autopromozionale di questo episodio di goodmorning privacy che, infatti, esce senza l’hastag di #cosedagarante perché non lo è.
Ma detto questo le questioni protagoniste del libro credo siano tanto importanti quanto sottovalutate perché, già oggi, centinaia di milioni di persone in giro per il mondo hanno aperto le porte della loro vita a chatbot di ogni genere e instaurato con queste entità non umane relazioni diversamente profonde nell’ambito delle quali, tuttavia, stanno condividendo con le società che gestiscono i relativi servizi commerciali una quantità enorme di frammenti della loro intimità.
E, come se non bastasse, stanno ponendo questi chatbot o, meglio, chi li controlla nella condizione di etero guidare – come fanno talvolta le persone che ci sono più vicine – nostri comportamenti e nostre scelte negli ambiti più diverse.
Talvolta con conseguenze anche drammatiche che sono già, sfortunatamente, arrivate al suicidio.
È una storia, quella della relazione tra uomini e chatbot molto più risalente nel tempo di quanto i più generalmente non immaginano, una storia che inizia nel 1966 con Eliza, il nonno o la nonna – a seconda del genere che si vuole attribuire a chi un genere non ce l’ha – di tutti i chatbot nato o, appunto, nata dalla mente geniale di Joseph Weizenbaum, lo scienziato che dopo averle o avergli dato i natali decise che lasciarlo o lasciarla sbarcare sul mercato sarebbe stato troppo pericoloso perché l’umanità non era pronta a confrontarsi con lei o con lui.
E, probabilmente, aveva ragione.
Il libro il cui titolo è la parafrasi del celeberrimo Diario di un killer sentimentale di Sepulveda prova a mettere in fila, con toni colloquiali e divulgativi, una serie di fatti che raccontano della pervasività del fenomeno, dei rischi – inclusi quelli relativi alle cose della privacy – con i quali dobbiamo confrontarci, delle regole che mancano e di quelle che ci sarebbero ma non vengono rispettate.
Ma, soprattutto, di quanto i timori di Weizenbaum di ieri siano ancora attuali e di quanto il problema non siano tanto i chatbot quanto le persone che non sono verosimilmente pronte ad averli per amici, amanti, mogli, mariti, emuli di affetti defunti o psicoanalisti.
C’è, insomma, un’emergenza che non possiamo, credo, permetterci il lusso di etichettare come un gioco perché ha un impatto straordinario sulle nostre vite e sulla società nel suo complesso come suggeriscono le tante storie che ho provato a raccontare.
Il libro sarà in vendita da domani online e nelle librerie, a cominciare, naturalmente, dal sito dell’editore.
Scusate per l’autopromozione, buona giornata e, naturalmente, good morning privacy!