Milano Finanza 10/06/2025 – Di Guido Scorza
Il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump e l’uomo più ricco del mondo, Elon Musk, nei giorni scorsi hanno rumorosamente rotto in modo visivo il loro sodalizio tecno-politico-finanziario dicendosene e dandosene senza esclusioni di colpi – anche bassi e bassissimi – proprio come talvolta accade talvolta quando finisce l’amore tra certe coppie del jet set nazionale o internazionale.
Solo che in questo caso i protagonisti non sono Brad Pitt e Angelina Jolie, Wanda Nara e Mauro Icardi né Francesco Totti e Ilary Blasi o Fedez e Chiara Ferragni, bensì due degli uomini più potenti del mondo.
Uno è – e lo è diventato per la seconda volta proprio grazie al sodalizio appena andato in frantumi – il presidente di quella che è stata a lungo definita la più grande democrazia occidentale e il comandante in capo delle forze armate più potenti del mondo.
L’altro è il capo di uno dei più grandi imperi tecno-finanziari della Silicon Valley che, proprio grazie allo stesso sodalizio che gli e costato circa 300 milioni di dollari, è stato sin qui una sorta di first gentleman della Casa Bianca, con accesso illimitato allo Studio Ovale e poteri speciali – de facto e formalmente –
mai avuti da nessuna first lady.
Tutto questo rende una storia che se fosse uscita dalla penna di uno scrittore di Hollywood sarebbe stata destinata a un sicuro successo planetario, una vicenda incredibile, inusuale ma, forse, anche – c’è da augurarselo – istruttiva, sempre ammesso che la storia sia ancora capace di essere magistra vitae.
Per convincersi di questa conclusione basta osservare alcuni stracci che sono volati, stanno volando, e verosimilmente, continueranno – almeno per un po’ – a volare tra i due ex.
Il presidente in carica degli Stati Uniti d’America che, offeso dal suo ex partner, lo minaccia di risolvere tutti i contratti tra l’amministrazione americana e le sue aziende, contratti evidentemente conclusi, sino a prova contraria, nell’interesse pubblico e e per il bene di una nazione che conta quasi 350 milioni di persone.
La cosa pubblica, insomma, platealmente gestita come se fosse privata. E altrettanto suggestiva è l’intenzione manifestata dallo stesso Trump di vendere quella Tesla, rosso fiammante, acquistata qualche mese fa, nel pieno dell’idillio con Musk, per promuovere – quasi fosse normale per il presidente degli Stati Uniti d’America trasformarsi in testimonial di un’azienda automobilistica – la fabbrica del sodale in crisi di reputazione e di vendite per colpa proprio della vicinanza tra i due. Quasi un gesto di stizza tra ex innamorati, con uno che non vuole più vedere nel cortile – in questo caso quello della Casa Bianca – quell’auto che gli ricorda I’altro. E pazienza per l’impatto dell’annuncio e, più in generale, della bufera scoppiata tra i due, sui mercati finanziari.
Il privato che diventa pubblico e il pubblico trattato come fosse privato, ancora una volta. «Musk ha perso la testa, è impazzito», ha detto Trump ai giornalisti. Parole in libertà, parole da ex, parole dettate da evidente umana delusione ma parole difficilmente conciliabili con il ruolo di chi siede addirittura nello Studio Ovale.
Ma gli stracci non volano solo dalla Casa Bianca. Musk non è rimasto a guardare e ha colpito il suo ex a trecentosessanta gradi, nella dimensione personale come in quella politica, ammesso che, in un caso del genere, si possa tracciare una linea di confine.
Prima un post su X che suggerisce – quasi si trattasse di un segreto appreso durante la speciale relazione tra i due – che il nome di Trump sia presente nei famosi Epstein file, quelli degli ospiti dei party pedopornografici organizzati dal miliardario morto suicida in carcere nel 2019.
E, Epstein file a parte, il rischio che nei giorni della convivenza tra i due Musk abbia appreso segreti capaci di costare la presidenza a Trump o di garantirgli enormi vantaggi competitivi è, inevitabilmente, concreto ed elevato.
Il pubblico ostaggio del destino di una relazione privata, ancora una volta. O il privato avvantaggiato da quella stessa relazione. Ma Musk è andato oltre, lanciando a Trump un avvertimento più direttamente politico. Lo ha fatto, nelle scorse ore, fissando in cima alla sua streamline su X un sondaggio: « È giunto il momento di creare un nuovo partito politico in America che rappresenti realmente l’80% della popolazione media?».
Sondaggio chiuso manciata di ore con 72 milioni di visualizzazioni, oltre 5,5 milioni di votanti e una schiacciante vittoria dei sì, con oltre l’80%.
Un messaggio che deve essere arrivato forte e chiaro alla Casa Bianca. Via l’appoggio politico di Musk a Trump, con il primo che minaccia di dare vita a un nuovo partito, idea che raccoglie proprio quei cinque milioni di voti che hanno determinato il successo del presidente eletto sulla Harris.
Per ora, naturalmente, è solo fantapolitica. Ma terzo polo a parte, nei prossimi giorni, potrebbe accadere di tutto per effetto della rottura del sodalizio tra i due, sempre che il clima non si rassereni e che per convinzione o convivenza i due non finiscano per riavvicinarsi e perdonarsi reciprocamente come suggerisce la circostanza che Musk avrebbe già cercato di parlare telefonicamente con Trump che, tuttavia, si sarebbe dichiarato non disponibile, almeno non così presto.
Che succederà per esempio nelle cose della tecnologia? La Casa Bianca continuerà a difendere e promuovere nel mondo le big tech statunitensi e la linea che la regolamentazione è nemica dell’innovazione? E le big tech che faranno?
Resteranno con Trump e magari gli si avvicineranno anche di più, con qualcuno che proverà a prendere il posto di Musk nel cuore del presidente e nello studio ovale o si schiereranno con Trump? La prima ipotesi appare più probabile della seconda ma è troppo presto per dirlo.
E se i socialnetwork – a cominciare da X – decidessero di promuovere una campagna anti-Trump, a colpi di algoritmo e contenuti artificialmente generati, la sua amministrazione resisterebbe all’urto? Potremmo essere alla viglia di uno straordinario stress-test per capire quanto quanto le nostre democrazie sono vaccinate contro gli esercizi di hackeraggio algoritmico?
E gli avversari del presidente? Approfitteranno della vicenda? La politica nazionale e internazionale della Casa Bianca cambierà ora che Musk non sarà più in piedi alla destra del presidente con il suo pargoletto alle spalle? E alle prossime elezioni di middle term, senza i 300 milioni di dollari di Musk che ne sarà dei repubblicani? Tante domande senza risposta perché potrebbe cambiare tutto e cambiare in fretta.
E tuttavia c’è una lezione che dovremmo fare nostra: in una stagione della vita del mondo come l’attuale, nella quale la democrazia è già sistematicamente indebolita dall’algocrazia dilagante, ogni relazione speciale del genere di quella appena saltata tra Trump e Musk rappresenta un rischio democraticamente insostenibile. Se ce ne convinciamo e corriamo ai ripari, forse, l’orribile spettacolo che negli ultimi giorni si è conquistato la scena mediatica globale non sarà stato del tutto inutile.
In recent days, the President of the United States, Donald Trump, and the richest man in the world, Elon Musk, have loudly and visibly broken their techno-political-financial alliance, attacking each other without holding back—sometimes hitting below the belt—as occasionally happens when love ends between certain high-profile couples, either nationally or internationally.
Except in this case, the protagonists aren’t Brad Pitt and Angelina Jolie, Wanda Nara and Mauro Icardi, Francesco Totti and Ilary Blasi, or Fedez and Chiara Ferragni, but two of the most powerful men in the world.
One is—and has become for the second time precisely because of the now shattered alliance—the President of what has long been called the greatest Western democracy and Commander-in-Chief of the most powerful armed forces in the world.
The other is the head of one of the largest techno-financial empires in Silicon Valley who, thanks to the same partnership which cost him approximately 300 million dollars, has effectively been a sort of First Gentleman of the White House, with unlimited access to the Oval Office and special powers—both de facto and formally—never before held by any First Lady.
All this makes a story that, if it had come from the pen of a Hollywood writer, would have surely been destined for global success—a remarkable, unusual, but perhaps, also (hopefully) instructive story, provided history can still serve as magistra vitae.
To convince oneself of this conclusion, one only needs to look at some of the dirty laundry that has been aired, continues to fly, and likely will keep flying, at least for a while, between the two exes.
The current President of the United States, offended by his former partner, threatens to terminate all contracts between the U.S. administration and Musk’s companies—contracts evidently entered into, until proven otherwise, in the public interest and for the good of a nation of nearly 350 million people.
The public good, in short, blatantly managed as if it were private. Equally striking is Trump’s stated intention to sell the flaming red Tesla purchased a few months ago, at the height of his idyll with Musk, to promote—as if it were normal for the President of the United States to become a spokesperson for an automotive company—his partner’s factory, now suffering from a crisis of reputation and sales precisely due to their closeness. Almost an act of spite between former lovers, with one no longer wanting to see in the yard—in this case, the White House yard—the car that reminds him of the other. And never mind the impact of the announcement and, more generally, the storm between the two on financial markets.
The private becoming public and the public being treated as private, once again. “Musk has lost his mind, he’s gone crazy,” Trump told journalists. Words spoken freely, words from an ex, words dictated by evident human disappointment but hardly reconcilable with the role of someone sitting in the Oval Office.
But dirty laundry is not just flying from the White House. Musk didn’t remain passive and has struck back at his ex-partner across the board, in personal as well as political dimensions, assuming a line can even be drawn between them in such a case.
First, a post on X suggesting—as if it were a secret learned during their special relationship—that Trump’s name appears in the infamous Epstein files, those of the guests at the pedophile parties organized by the billionaire who died by suicide in prison in 2019.
And Epstein files aside, there is a tangible and high risk that during their partnership, Musk may have learned secrets capable of costing Trump the presidency or granting Musk significant competitive advantages.
Once again, the public held hostage by the fate of a private relationship. Or the private gaining an advantage from the same relationship. But Musk went further, sending Trump a more directly political warning. He did so, recently, by pinning a poll at the top of his timeline on X: “Is it time to create a new political party in America that truly represents the average 80% of the population?”
The poll closed within hours, with 72 million views, over 5.5 million voters, and an overwhelming victory for “yes,” with more than 80%.
A message that must have been received loud and clear at the White House. Musk withdraws his political support for Trump, threatening to establish a new party, an idea capturing precisely those five million votes that determined Trump’s success over Harris.
For now, naturally, it’s just political fiction. But third pole aside, in the coming days, anything could happen due to the breakup of their partnership, unless the atmosphere calms down and either out of conviction or convenience, the two eventually reconcile and forgive each other, as suggested by the circumstance that Musk has reportedly already tried calling Trump, who, however, has declared himself unavailable, at least for now.
What will happen, for example, in technology matters? Will the White House continue to defend and promote American big tech globally and maintain the stance that regulation is the enemy of innovation? And what will big tech companies do?
Will they remain with Trump, perhaps even getting closer, with someone attempting to take Musk’s place in the president’s heart and the Oval Office, or will they side against Trump? The first hypothesis seems more likely than the second, but it is too soon to tell.
And if social networks—starting with X—decide to launch an anti-Trump campaign using algorithms and artificially generated content, could his administration withstand the impact? We might be on the verge of an extraordinary stress test to understand how immune our democracies are to algorithmic hacking.
And what about the president’s opponents? Will they capitalize on the situation? Will the national and international policy of the White House change now that Musk no longer stands at the president’s right-hand side with his little child behind him? And at the next midterm elections, without Musk’s $300 million, what will become of the Republicans? Many unanswered questions because everything could change and change rapidly.
Yet, there is a lesson we should internalize: in a time when democracy is already systematically weakened by rampant algocracy, any special relationship like the one just shattered between Trump and Musk represents a democratically unsustainable risk. If we recognize this and act accordingly, perhaps the horrible spectacle that has dominated the global media in recent days will not have been entirely pointless.