Oltre tredici milioni di studenti cinesi, in questi giorni, sono chiamati a conquistarsi un posto in università superando una selezione nazionale niente affatto facile e per essere sicuro che nessuno chieda l’aiutino da casa o, meglio, un aiutino all’intelligenza artificiale si è dovuto ricorrere a una soluzione un po’ drastica che, però, è decisamente figlia dei tempi.
Se siete curiosi, continuate a ascoltare dopo la sigla.
La notizia rimbalza dalle colonne di Bloomberg e sembra decisamente affidabile sebbene, sin qui, sia difficile trovare conferme sui siti istituzionali delle società coinvolte nell’operazione.
Eccola.
I giganti dell’intelligenza artificiale cinese di consumo avrebbero reso momentaneamente inutilizzabili alcune funzionalità – quelle in linea di principio più utili ai più furbetti tra gli studenti per superare l’esame – dei loro servizi e applicazioni per scongiurare il rischio che la tentazione avesse la meglio sulle regole, l’educazione e l’onestà dei candidati.
Niente aiuti artificiali per nessuno insomma.
E questo sebbene le regole, naturalmente, già vietino agli studenti di partecipare alle selezioni utilizzando dispositivi elettronici di ogni genere.
Ma fidarsi è bene e non fidarsi è meglio suggerisce un vecchio proverbio.
Impossibile, per ora, capire chi abbia dato l’ordine, se, come appare probabile, un ordine in tal senso è stato impartito.
La storia, tuttavia, la dice lunga su dove siamo arrivati se bisogna spegnere l’intelligenza artificiale per mettere tredici milioni di studenti sulla stessa linea di partenza evitando che qualcuno parta prima degli altri o, semplicemente, arrivi prima facendosi dare una spintarella artificiale.
Anche perché, naturalmente, quello che si può fare – almeno in Cina perché non sono così convinto che l’esperimento avrebbe successo anche altrove – per qualche giorno, durante una selezione nazionale particolarmente importante, naturalmente, non si può fare per tutto l’anno.
E allora?
Durante il resto dell’anno che succede? Che ci sono studenti che usano l’AI e corrono più degli altri? E studenti a parte che succede sul lavoro, negli affari, nella vita privata, ovunque insomma l’intelligenza artificiale possa essere d’aiuto?
Una risposta possibile e piuttosto semplice suggerisce che potremmo farci aiutare tutti dall’AI, che questo è il bello del progresso e anche la ragione per la quale, invece di perder tempo a provare a regolamentare l’impatto del fenomeno sulla società, dovremmo preoccuparci di abbassare la pressione regolamentare e far correre sviluppo e diffusione dell’AI il più possibile.
Ma ho il sospetto che sarebbe una risposta troppo semplice.
Un paio di ragioni tra le tante, riflettendo alle quali prendere il caffe di questa mattina.
La prima.
Pensiamo a un Paese come il nostro, con oltre la metà della popolazione priva di un livello di alfabetizzazione digitale di base e, quindi, impossibilitata a usare l’intelligenza artificiale o, almeno, impossibilitata a farlo in maniera consapevole.
Se prendessimo per buona la risposta qui sopra, la condanneremmo a rimanere sistematicamente un passo indietro rispetto all’altra metà – o poco meno – della popolazione che, invece, quelle competenze digitali le ha.
Senza dire che già oggi – e sarà sempre più vero domani – usare i servizi di intelligenza artificiale più performanti ha un costo che non tutti possono permettersi.
Ma ce n’è anche una seconda.
Se l’AI diventa la scorciatoia per tutti per far meglio e far prima e in un intervallo di tempo straordinariamente breve l’intera società o la più parte di essa ne diventa dipendente, disimparando a farne a meno, poi non finiamo con l’essere un po’ tutti, un po’ troppo ostaggio o, almeno, dipendenti, da un po’ troppo poche – forse pochissime – grandi fabbriche di algoritmi?
La dipendenza tecnologica di alcune nazioni intere da altre, già oggi, rappresenta un problema enorme che si traduce, tra l’altro, in una compressione importante di libertà e in un’asimmetria non sempre sostenibile nelle cose della geopolitica.
Insomma, la vicenda cinese, forse, potrebbe suggerirci qualcosa che va al di là della preoccupazione di evitare che qualche milione di studenti faccia il furbetto agli esami e riguardare qualche miliardo di persone.
Buona giornata e, naturalmente, good morning privacy.