GOOD MORNING PRIVACY! | Non c’è pace per l’AI. Ora anche i tennisti ne criticano l’uso

A Wimbledon, per la prima volta nella storia, sono scesi in campo guardalinee diversamente intelligenti o, per chi ci crede, artificialmente intelligenti.
Ma alcuni tennisti non hanno gradito e chiedono che gli uomini tornino in campo e i robot nel cassetto.
Non c’è pace per i sistemi di intelligenza artificiale.
La sigla e ne parliamo.

Errori di arbitraggio grossolani.
Limiti tecnologici eccessivi.
Discriminazioni in danno di tennisti non udenti.
Sono queste alcune, perché l’elenco è più lungo, delle contestazioni che tenniste e tennisti hanno indirizzato agli organizzatori di uno dei tornei di tennis più famoso di tutti i tempi rei di aver pre-pensionato i guardalinee umani e averli sostituiti con un sistema robotico di monitoraggio delle linee.
Non ha funzionato dicono i tennisti.
Meglio e più affidabili le persone.
Troppo numerosi gli errori.
Palle fuori viste dentro e viceversa, palle da rigiocare perché il sistema non riesce a tracciare quelle giocate la prima volta, necessità di chiudere certe partite prima che cali la luce e si accenda quella artificiale per scongiurare il rischio che il sistema perda ulteriormente di affidabilità e, per finire, un grande classico, una costante verrebbe da dire, dei sistemi di intelligenza artificiale schierati in ogni ambito della nostra vita, discriminazioni insostenibili, in questo caso in danno di una tennista non udente capace di riconoscere i segnali visivi del guardalinee umano non in grado di sentire il giudizio vocale di quelli artificiali attraverso gli altoparlanti in campo, altoparlanti, peraltro – ma qui non c’entra niente l’AI – giudicati troppo bassi anche da giocatori in possesso di piene capacità uditive.
A leggere le notizie che rimbalzano, a margine delle telecronache sportive, da Wimbledon, insomma, tra i grandi sconfitti di uno dei prati più celebri al mondo ci sarebbero anche loro, gli arbitri-robot che, paradossalmente, proprio alla ricerca di più obiettività, rigore e precisione erano stati fatti scendere in campo dagli organizzatori.
E, questi ultimi, infatti, raggiunti da critiche, contestazioni e polemiche, anziché sfoderare il proverbiale humor inglese, rispondono che l’erba del vicino è sempre più verde e che ai tennisti che passano per Wimbledon non va mai bene niente, soprattutto quando perdono.
Ieri, si lamentavano dei guardalinee in carne ed ossa e protestavano perché, per colpa del tradizionalismo, non si lasciavano scendere in campo i sistemi diversamente intelligenti di monitoraggio delle linee di gioco, oggi che si sono aperti i cancelli a questo genere di sistemi invocano il ritorno in campo dei guardalinee umani, destinatari sin qui di ogni genere di critica e rimprovero.
E, magari, hanno anche ragione loro e torto giocatrici e giocatori perché è fuor di dubbio che quando si arbitra o, ancora più in generale, quando si valuta, si giudica, si decide, l’errore è sempre in agguato e nessuno è perfetto che si tratti di un uomo, di un algoritmo o di un robot.
Ma la questione che rimbalza da Wimbledon non è trascurabile e se discussa a proposito di un sistema chiamato a decidere se una palla è dentro o fuori dal campo – benché si tratti di palle che possono avere un valore enorme in termini sportivi e economici – può far sorridere, se poi discussa a proposito di decisioni più importanti in relazione alla vita delle persone, allora è tutta un’altra storia.
Ci si può fidare degli algoritmi al posto di arbitri e giudici umani in ogni ambito?
O, forse, meglio ce ne dovremmo fidare più di arbitri e giudici umani?
Messa così una questione nata lungo le linee bianche dei campi da tennis di Wimbledon diventa addirittura epocale e decisamente troppo complessa per il nostro caffè corto del mattino.
Ma a voi dire la vostra nei commenti.
A me augurarvi buona giornata non prima di aver fatto altrettanto con la privacy, con l’irrinunciabile good morning privacy!