Qualcuno ride, qualcun altro sorride, alcuni disapprovano e altri alzano le spalle e dicono che tanto non funzionerà. Sono le reazioni al divieto che, in Australia, entra in vigore oggi, di accesso ai social network per chi non ha sedici anni. Una decisione che ha acceso un dibattito planetario e che tanti considerano anti-storica. Ma ha un merito indiscutibile: aver posto con forza un problema che esiste e che si è, forse, troppo a lungo, fatto finta di ignorare.
La sigla e ne parliamo.
Faremmo salire nostro figlio su un motorino a tredici anni?
O gli lasceremmo guidare la macchina?
E lo lasceremmo fumare, bere o giocare d’azzardo?
Domande, qui da noi, in Italia, verosimilmente retoriche per i più.
Le risposte sono scontate, tutte negative anche perché tanto dicono le leggi.
E, però, per la più parte di noi adulti, sfortunatamente, è normale, ormai da anni, che i nostri figli tredicenni, dodicenni, undicenni, talvolta persino più piccoli di così spendano una quantità crescente del loro tempo immersi nei social network e, oggi, nelle piattaforme basate sull’intelligenza artificiale.
E non è che frequentare i social, i chatbot, l’universo digitale sia sempre e comunque meno pericoloso per chi non ha l’età giusta che fumare, guidare il motorino o giocare d’azzardo.
Perché accade?
Le ragioni principali, probabilmente, sono due.
La prima è che la legge non lo vieta, non sempre almeno, non del tutto, non in maniera così tanto chiara.
A differenza di quanto accade per la guida di motorini e automobili, fumo, alcolici, gioco d’azzardo o pornografia.
La seconda è che, da adulti, mentre abbiamo sperimentato sulla nostra pelle o su quella dei nostri amici, i rischi legati a certe attività svolte quando non si aveva l’età giusta, con poche eccezioni, non abbiamo fatto altrettanto, per la frequentazione di certe piattaforme online che, di conseguenza, consideriamo meno pericolosa di un giro in motorino magari senza casco, del vizio del fumo o dell’alcol o della dipendenza dal gioco d’azzardo o dal porno online.
Sia quel che sia la conseguenza è che, con poche eccezioni, troviamo naturale che i nostri figli frequentino, già giovanissimi, talvolta piccolissimi, i social network e altre piattaforme digitali.
E, anzi, e arriviamo al dibattito innescato dall’entrata in vigore della legge australiana, troviamo innaturale che qualcuno stabilisca che chi non ha sedici anni non possa usare i social network.
E, però, è, secondo me, un errore di prospettiva gravissimo.
Non c’è niente di strano nel vietare a chi non ha l’età giusta – personalmente non so dire quale sia – di usare certi servizi digitali e, anzi, farlo, come sta facendo l’Australia, avrebbe dovuto rappresentare, anche da questa parte del mondo, la cosa più naturale a tutela dei nostri figli, dei bambini e degli adolescenti.
Certo vietare di fare loro qualcosa – come in ogni contesto della vita – non basta e educare a farla in maniera responsabile dovrebbe sempre essere la priorità.
Ma c’è un’età sotto la quale, dire che i social network e altri servizi online possono attendere, a me sembra sano da genitori prima e da legislatore poi.
E, allora, perché tanto rumore attorno alla proposta australiana?
Tra tante ragioni perché, si dice, accertare l’età degli utenti crea enormi problemi di privacy.
Innegabile che la questione esista, vero, verissimo.
Ma, personalmente, mentre credo che la questione vada disciplinata in maniera severa, rigorosa, intelligente, non credo che la privacy possa e debba essere una ragione bloccante per dire di no a un divieto che è giusto e che, a ben vedere, è già anche nella disciplina italiana, non una ma due volte.
La prima perché il codice civile stabilisce che i minorenni – e non semplicemente gli infrasedicenni – non possano concludere contratti come quelli che serve concludere per accedere a un socialnetwork accettando le relative condizioni generali di servizio.
La seconda perché la recente legge italiana sull’intelligenza artificiale vieta espressamente agli infraquattordicenni, di usare qualsiasi tecnologia basata sull’intelligenza artificiale e, direi, che nel 2025, non c’è social network senza AI.
Insomma, forse, più che accapigliarci e discutere della circostanza che quella australiana sia o meno la scelta giusta, dovremmo ragionare senza perdere altro tempo su come implementarla in maniera sostenibile anche da noi.
E pazienza se nessuna legge terrà mai tutti gli infrasedicenni, infraquattordicenni o minorenni fuori dai social e se non funzionerà perfettamente.
È così per tutti i divieti già in vigore ma non è mai stata una buona ragione per farne a meno.
Che ne pensate?
Frattanto e come sempre good morning privacy!
