“Rubare è antiamericano. Dite a Washington di far pagare alle Big Tech i contenuti che rubano” È il claim di una massiccia campagna degli editori americani contro le fabbriche di algoritmi. Ed è anche l’argomento del caffè di questa mattina.
La risposta di centinaia di editori americani alle richieste indirizzate alla Casa Bianca dalle big tech, Google e OpenAI in testa non si è fatta attendere.
Ci sono cattive idee e poi ce ne sono di pessime. Quella del Governo inglese, sembra decisamente rientrare nella seconda categoria: un sistema per identificare le persone più probabilmente destinate a commettere reati violenti.
La truffa corre via Whatsapp e minaccia di privarci proprio di Whatsapp. Niente di rivoluzionario o mai visto prima ma considerato che è appena successo anche a me e che stavo per caderci, vale la pena di lanciare un avviso ai naviganti.
No, non è vero che in America le persone comuni siano tanto ottimiste a proposito dell’impatto dell’intelligenza artificiale sulle loro vite. Ma la percezione è diversa se lo si chiede a chi lavora nel campo dell’intelligenza artificiale. Interessanti i risultati di una ricerca del Pew Research center.
Il rischio sembra concreto: smantellare le regole sulla privacy con la solita scusa della semplificazione e della competitività. Un altro caffè amaro oggi.
Speriamo che il caffè di questa mattina non mi costi il mio prossimo viaggio negli Stati Uniti ma la notizia va data e raccontata, credo. Niente visto di studio per entrare negli USA per gli studenti che sui social avessero criticato i valori americani.
“Non vogliamo persone nel nostro Paese che commettano crimini e minaccino la nostra sicurezza nazionale o la sicurezza pubblica. È così semplice, soprattutto le persone che sono qui come ospiti”. A parlare Carlo Rubio Segretario di Stato alla Casa Bianca. E che il principio sia semplice è innegabile. E, probabilmente, l’obiettivo è anche condivisibile. È un’ambizione non solo legittima ma dovremmo avere un po’ tutti. La questione attorno alla quale interrogarsi è se il perseguimento di questo obiettivo giustifichi il mezzo che il Segretario di Stato americano ha appena ordinato alle ambasciate del suo Paese di adottare nel valutare le domande di visto, a cominciare da quelle degli studenti che ne chiedono uno per studiare nelle università USA.
Questa ancora mi mancava: un chatbot per esercitarsi a conquistare la nostra anima gemella. È appena sbarcato su Tinder grazie a OpenAI ed è protagonista del caffè di questa mattina!
Tinder, una delle app di incontri più famosa del mondo, sta proponendo ai suoi utenti, per ora solo quelli americani, un gioco forse educativo, forse demenziale, a ciascuno esprimere il proprio giudizio o, più semplicemente, come propongono dal quartier generale della società, giocarci, senza prenderlo troppo sul serio.
In questa puntata di A little privacy, please!, il nostro speaker Sergio Aracu presenta l’ultima fatica editoriale dell’Avv. Guido Scorza, “Diario di un chatbot sentimentale”Continua a leggere →
Costano sempre meno, sono sempre più facili da installare, durano sempre di più, ormai così tanto che quasi ci dimentichiamo di averle. Sto parlando delle telecamere di sorveglianza delle quali pullulano le case di mezzo mondo e che centinaia di milioni di utenti, forse miliardi, hanno installato a casa o in ufficio per ragioni di sicurezza. Si comprano online, arrivano il giorno dopo, si installano in meno di cinque minuti, le si utilizzano per qualche mese con una certa frequenza e, poi, spesso, sempre di meno ma non le si disinstallano. E il più delle volte, quando le installiamo, preoccupati come siamo solo di verificare che funzionino, non ci preoccupiamo neppure di cambiare la loro password di default. Meno che meno, nei mesi e negli anni a venire ci preoccupiamo di aggiornare il software e il firmware che danno loro la vita.
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