GOOD MORNING PRIVACY! | App per il monitoraggio del ciclo o aspirapolveri di dati? Donne, non cadete nella trappola

Nel mondo patinato delle app per la salute femminile, ci viene raccontato che il monitoraggio del ciclo mestruale sia un gesto di empowerment, un atto di consapevolezza del proprio corpo. Peccato che, dietro l’interfaccia rosa pastello e i messaggi motivazionali, si nasconda un’industria che tratta i dati più intimi delle donne come moneta di scambio. Duro, anzi no, durissimo il J’accuse del Minderoo Centre for Technology and Democracy dell’Università di Cambridge. La sigla e ne parliamo perché questo è il genere di cose delle quali giornali e televisioni dovrebbero occuparsi molto di più.

Chi pensava che queste app servissero solo a ricordare l’arrivo del ciclo o a pianificare una gravidanza si sbaglia di grosso.
In realtà, funzionano come aspirapolveri di dati: abitudini alimentari, farmaci, desiderio sessuale, uso di contraccettivi, umore, sintomi premestruali.
Tutto viene tracciato, immagazzinato e – ovviamente – venduto.
E non a poco prezzo.
Per carità, naturalmente, generalizzare è sempre pericoloso e le conclusioni non riguardano tutte le app, né tutte le app allo stesso modo!
Secondo lo studio, però, il tipo di dati raccolto attraverso molte di queste app può valere fino a 200 volte di più rispetto a semplici dati demografici.
Un vero e proprio business per chi lavora nel settore della pubblicità mirata e del profiling commerciale.
Altro che empowerment: qui si tratta di business, mercato puro e semplice, costruito su alcuni dei dettagli più personali e intimi della vita di milioni di donne in tutto il mondo, le loro libertà in fatto di figli e sessualità.
La situazione è preoccupante anche perché i dati raccolti possono essere usati per predire comportamenti, dedurre tratti psicologici e persino influenzare la percezione che le donne hanno del proprio corpo.
Non si tratta soltanto di privacy, ma di una forma di potere e controllo che rischia di minare l’autonomia personale e la dignità delle donne.
Lo studio mette in luce come le app di tracciamento mestruale, pur rispondendo a un’esigenza reale (empowerment, informazione), sono tuttavia strumenti potenzialmente pericolosi quando i dati personali diventano merce in mano a venditori e broker.
Il rapporto di Cambridge dice chiaro e tondo come dietro l’apparente promessa di empowerment e consapevolezza offerta dalle app di monitoraggio mestruale, si nasconda una minaccia concreta alla privacy e all’autodeterminazione delle donne.
Questi strumenti digitali trasformano dati personali delicatissimi in una vera e propria merce, esponendo milioni di donne al rischio di profilazione invasiva e manipolazioni commerciali.
Difficile immaginare un contesto in cui la privacy conti di più.
Buona giornata e, naturalmente, e a voce più alta del solito, good morning privacy!