“Rubare è antiamericano. Dite a Washington di far pagare alle Big Tech i contenuti che rubano” È il claim di una massiccia campagna degli editori americani contro le fabbriche di algoritmi. Ed è anche l’argomento del caffè di questa mattina.
La risposta di centinaia di editori americani alle richieste indirizzate alla Casa Bianca dalle big tech, Google e OpenAI in testa non si è fatta attendere.
Queste ultime, nei giorni scorsi, nel rispondere alla consultazione pubblica lanciata dall’amministrazione del Presidente Trump a proposito delle nuove regole da dettare in materia di intelligenza artificiale avevano chiesto di rivedere al ribasso la disciplina sul diritto d’autore, lasciandole libere di dragare ogni genere di contenuto pubblicato online per addestrare i propri algoritmi.
In difetto, era stata la neppure tanto velata minaccia di OpenAI al Governo americano, l’America è destinata alla sconfitta nella corsa all’intelligenza artificiale contro la Cina.
Troppo per centinaia di editori, New York Times, Washington Post , Guardian in testa che da anni si sentono depredati dei propri contenuti proprio dalle fabbriche di algoritmi che non solo li hanno utilizzati, sin dal principio, per addestrare i propri algoritmi e diventare i giganti che sono diventati nell’universo dell’intelligenza artificiale generativa ma, ora, utilizzano, persino, la potenza produttiva così conquistata per fare loro concorrenza a valle, offrendo e facendo offrire da terzi ai lettori servizi e contenuti spesso sostitutivi di quelli che continuano a rappresentare il core business delle loro aziende editoriali.
Da qui la decisione: lanciare una massiccia campagna media coordinata per raccontare all’opinione pubblica come stanno le cose, cosa sta accadendo, cosa la Casa Bianca non dovrebbe lasciare che accada.
In una parola: basta legittimare furti in nome del progresso e dell’innovazione o, forse, meglio, in nome di quello che si presenta come progresso e innovazione.
Se le fabbriche di algoritmi hanno bisogno dei loro contenuti che chiedano loro una licenza e si impegnino a pagare il relativo prezzo.
Troppo presto per dire come andrà a finire e chi avrà la meglio anche perché, campagna media a parte, l’ultima parola toccherà ai Giudici ai quali molti editori, a cominciare proprio dal New York Times, si sono rivolti.
Ma al tempo stesso guai a tralasciare l’ipotesi che potrebbe essere troppo tardi, tenuto conto del fatto che, in un modo o nell’altro, buona parte del patrimonio informativo prodotto negli ultimi decenni dagli editori di giornali americani e non solo è finito, già da anni, nelle pance voraci dei modelli di intelligenza artificiale generativa.
È, però, la questione c’è e merita tanta tanta attenzione.
Anche perché in quelle pance, non è finita solo la proprietà intellettuale degli editori ma anche i dati personali di miliardi di persone.
Buona giornata e naturalmente, good morning privacy!