Arriva largamente annunciato tanto da non suscitare alcuna sorpresa l’avvio da parte della Federal Trade Commission di un’indagine per capire se e quanto l’industria tecnologica – big tech in testa – abbia sin qui esercitato forme di censura rimuovendo, demonetizzando o penalizzando nell’indicizzazione e diffusione i contenuti degli utenti in ragione delle opinioni espresse.
“La censura da parte delle piattaforme tecnologiche non è solo antiamericana, è potenzialmente illegale. Le aziende tecnologiche possono impiegare procedure interne confuse o imprevedibili che tagliano fuori gli utenti, a volte senza possibilità di appellarsi alla decisione. Tali azioni intraprese dalle piattaforme tecnologiche possono danneggiare i consumatori, influenzare la concorrenza, possono essere il risultato di una mancanza di concorrenza o possono essere state il prodotto di una condotta anti-concorrenziale.”.
Si legge nel comunicato stampa pubblicato lo scorso 20 febbraio sul sito della Federal Trade Commission.
È il nuovo corso del Presidente Donald Trump e di Elon Musk.
Lo stesso che aveva già prodotto la decisione di Meta di interrompere ogni programma di fact checking sulle piattaforme social, dichiarando che i costosissimi esercizi sin li fatti dovevano considerarsi fallimentari.
“Le aziende tecnologiche non dovrebbero intimidire e prevaricare i propri utenti”, ha affermato il presidente della FTC Andrew N. Ferguson, appena eletto da Trump.
“Questa inchiesta aiuterà la FTC a comprendere meglio come queste aziende potrebbero aver violato la legge, mettendo a tacere e intimidendo gli americani per aver espresso le proprie opinioni”.
Questione enorme difficile da affrontare davanti a un caffè espresso.
Ne servirebbe almeno uno di quelli americani da mezzo litro.
Perché il rischio che si corre nel domandare a un gestore privato di esercitare qualsivoglia forma di moderazione sui contenuti pubblicati dagli utenti, con poche eccezioni legate a contenuti palesemente illeciti, è reale e innegabile.
Personalmente sono da sempre contrario a ogni delega ai gestori delle piattaforme di questo genere di attività che si tratti di decidere sull’oblio, sull’hate speech, sul vero e falso, sui reati di opinione e su qualsiasi altra questione che non sia il palesemente lecito versus il palesemente illecito.
Ma certo, questo nuovo corso a stelle strisce è un po’ sospetto per tempi e modi e, soprattutto, è in assoluta contro-tendenza – e girarci attorno rischia di servire solo a ritardare il momento nel quale affronteremo il problema – con i principi che ispirano buona parte dei più recenti interventi regolatori europei in tanti ambiti diversi.
Insomma, la distanza tra vecchio e nuovo contenente in fatto di regolamentazione delle tecnologie o, forse meglio, in questo caso, di applicazione delle regole sta aumentando.
Gli utenti americani delle piattaforme online, comunque, ora, avranno fino al 21 maggio per raccontare alla Federal Trade Commission gli episodi di censura, vera e presunta, nei quali sono incorsi online e, quindi, l’Agenzia deciderà come procedere.
Una vicenda sulla quale, verosimilmente, torneremo nei prossimi caffè.
Frattanto, però, buona giornata e #goodmorningprivacy!