GOOD MORNING PRIVACY! | Chatbot: più ladri di tempo o saggi compagni di strada?

Kevin Systrom è uno dei co-fondatori di Instagram.
Non è un luddista, non è un nemico del progresso, non è un retrogrado.
Eppure qualche giorno fa ha raccontato una storia che non getta esattamente la luce migliore sulle cose dell’intelligenza artificiale, a cominciare dall’universo dei chatbot.
Difficile resistere alla tentazione di parlarne.
Ma prima la sigla.

La questione sollevata da Systrom è tanto semplice quanto importante e la dice lunga su quanto i chatbot condizionano oggi e condizioneranno sempre di più le nostre vite non necessariamente nella più auspicabile delle direzioni.
Le fabbriche di chatbot e, naturalmente, il mercato, potrebbero scegliere di sviluppare e rendere disponibili chatbot capaci di soddisfare e esaudire sempre più efficacemente e più rapidamente ogni richiesta degli utenti.
Ma pare stiano facendo o, addirittura, abbiano fatto una scelta diversa: intrattenerci il più a lungo possibile, per centrare una serie di obiettivi di rilievo sul mercato: più tempo, più dati, più interazioni con gli utenti, infatti, significa maggiore valore agli occhi degli investitori e dell’universo della pubblicità.
E pazienza se, in effetti, l’interesse degli utenti sarebbe un altro.
Pazienza se, ciascuno di noi, da utente, preferirebbe che a una nostra domanda a un chatbot, quest’ultimo rispondesse direttamente con la migliore delle risposte possibili e non con un’altra domanda come, invece, sempre più spesso – è quello che sostiene Systrom – avviene.
E, appunto, non avviene per caso.
Ecco, il punto è questo e questo è il cuore del j’accuse che il co-fondatore di Instagram ha appena reso pubblica: c’è una divergenza di interessi tra industria e utilizzatori di chatbot, una divergenza che sta viziando la relazione tra uomini e macchine e la sta portando in una direzione diversa da quella che sarebbe auspicabile, etica, migliore.
“Sta accadendo – ha detto Sistrom – esattamente quello che è accaduto con i social network.
I chatbot sono progettati innanzitutto per creare engagement con gli utenti, creare dipendenza, catturare la loro attenzione e il loro tempo.
E questi obiettivi hanno la meglio sulla loro utilità.
Più ladri di tempo che fornitori di risposte utili, insomma.
E non è un giudizio di un luddista o di un’associazione di bacchettoni e, neppure, di un eticista o di un regolatore europeo.
Ma è la posizione di chi ha fondato uno dei social network di maggior successo di tutti i tempi.
Insomma sembra proprio – se mi perdonate per l’inserto autopromozionale in un episodio che non vuole esserlo – che i chatbot, come sostengo nel mio ultimo libro, “Diario di un chatbot sentimentale”, meriterebbero più attenzione di quella che stiamo dedicando loro.
Mi fermo qui, altrimenti finisce che faccio come i chatbot: più parole inutili che utili!
Buona giornata e, naturalmente, good morning privacy.