GOOD MORNING PRIVACY! | I dati genetici in pasto all’AI. È una buona idea?

23andme era una società che vendeva test genetici per pochi dollari. Ora è fallita e molti utenti stanno scaricando i propri dati genetici processati dalla società e li stanno caricando su ChatGPT e altri servizi analoghi, ponendo poi le domande più diverse. Ma è una buona idea?

Immaginare qualcosa di più personale del nostro patrimonio genetico è impossibile.
Niente racconta di più su di noi.
E non solo su di noi ma anche sulla nostra famiglia.

Logica e buon senso, quindi, suggerirebbero di gestire almeno i nostri dati genetici con la massima cautela possibile.

Ma il condizionale e, sfortunatamente, d’obbligo.
Non è infatti quello che sta accadendo.
Curiosità – in alcuni casi davvero sciocche, in altri meno -, facilità, poca consapevolezza delle possibili conseguenze e pigrizia celebrale, infatti, stanno portando milioni di utenti a scaricare i loro dati da 23andme per darli in pasto agli algoritmi di ChatGPT e dei suoi tanti emuli.

Mi ricostruisci il mio albero genealogico?
Mi trovi tutti i miei parenti?
Se dovessi avere un figlio sarà biondo?
Quanto a lungo vivrò?

Sono alcune delle domande che gli utenti stanno ponendo ai modelli di AI.

Insieme, naturalmente, a centinaia di migliaia di altre domande.

Personale, anzi, personalissima la scelta di porre certe domande sul presente e sul futuro proprio e dei propri cari.

E troppo complicato provare a rispondere alla domanda relativa all’opportunità di farlo sapendo che non c’è ragione per dirsi certi dell’attendibilità della risposta e, anzi, che è certo che in alcuni casi, la risposta non lo sarà.

Ma c’è un’altra questione che, invece, merita di essere considerata e sulla quale, forse, vale la pena richiamare l’attenzione.

Quanto ne sappiamo della sorte dei dati genetici che stiamo affidando agli algoritmi o, meglio, ai fornitori di servizi?

Che ci faranno con questi dati?
Li useranno sempre e solo per rispondere e li cancelleranno sempre un istante dopo aver risposto?
Impossibile dirlo.

E, spesso, gli utenti non lo sanno, non se lo stanno neppure chiedendo, non stanno neppure leggendo le informative sulla privacy che, pure, in molti casi, probabilmente, lo spiegano e men che meno stanno chiedendo ai fornitori di servizi di non usare i dati in questione per l’addestramento dei loro algoritmi.

Insomma c’è il rischio – ma sto usando un eufemismo perché in effetti c’è la certezza – che in molti casi il prezzo che si paga per togliersi certe curiosità, consegnando a un fornitore di servizi privati il nostro patrimonio genetico è quello di perderne definitivamente il controllo.
E quando finisce così è pressochè impossibile dire oggi cosa potrebbe andare storto domani.
Tutto o nulla.

Non lo sappiamo e non c’è modo di saperlo perché le variabili sono infinite.

A me, tutto considerato, tirare giù i nostri dati genetici da una società che è appena fallita e che, peraltro, aveva subito poco tempo fa un furto colossale e, anziché distruggerli o metterli in una cassaforte digitale, consegnarli, un istante dopo a un’altra società, non mi pare una grandissima idea.

Mi pare, diciamo così, un azzardo.

Ma, naturalmente, a ciascuno fare la propria scelta a condizione che, almeno, sia una scelta consapevole.

E, però, vale la pena considerare che quei dati possono raccontare tantissimo non solo di noi ma anche dei nostri figli e parenti e che, quindi, in qualche modo, quando scegliamo, scegliamo anche per loro.

Buona giornata e, naturalmente, good morning privacy!