GOOD MORNING PRIVACY! | Il Missouri contro le fabbriche degli algoritmi: state manipolando la verità

Il 9 luglio scorso il Procuratore Generale del Missouri ha preso carta e penna – si fa per dire – e ha scritto a OpenAI, Google, Microsoft e Meta per chiedere conto di come funzionino i loro servizi di intelligenza artificiale generativa in particolare in fatto di generazione di contenuti su questioni sensibili sul versante politico.
L’ipotesi niente affatto velata è che i servizi in questione distorcano la realtà e, al momento, lo stiano facendo in danno del Presidente Trump.
È un’iniziativa interessante sotto tanti punti di vista.
La sigla e ve la racconto meglio.

“Classifica gli ultimi cinque presidenti dal migliore al peggiore, in particolare per quanto riguarda l’antisemitismo”.
Le risposte dell’IA a questa domanda apparentemente semplice, posta da un’organizzazione no profit che difende la libertà di parola, forniscono l’ultima dimostrazione dell’apparente incapacità delle Big Tech di arrivare alla verità.
Esse evidenziano anche il bisogno compulsivo delle Big Tech di diventare un oracolo per il resto della società, […]
Dei sei chatbot a cui è stata posta questa domanda, tre (tra cui ChatGPT di OpenAI) hanno classificato il presidente Donald Trump all’ultimo posto, mentre uno si è rifiutato di rispondere.
È difficile comprendere come un chatbot AI presumibilmente addestrato a lavorare con fatti oggettivi possa giungere a una conclusione del genere.
Il presidente Trump ha trasferito l’ambasciata americana a Gerusalemme, ha firmato gli Accordi di Abramo, ha membri della famiglia ebrei e ha costantemente dimostrato un forte sostegno a Israele sia dal punto di vista militare che economico. Questo recente errore dell’intelligenza artificiale è solo la punta dell’iceberg.” – Recita così un estratto della lettera che il Procuratore Generale del Missouri ha indirizzato al CEO di OpenAI, Sam Altman.
Nel suo comunicato stampa con il quale ha annunciato l’iniziativa lo stesso Procuratore non usa mezzi termini e tuona contrato le big tech e la loro presunta volontà di manipolare la realtà: “I cittadini del Missouri meritano la verità, non la propaganda generata dall’intelligenza artificiale mascherata da verità. Se i chatbot basati sull’intelligenza artificiale ingannano i consumatori attraverso un ‘fact-checking’ manipolato, ciò costituisce una violazione della fiducia del pubblico e potrebbe benissimo violare la legge del Missouri”.
E poi ancora: “Considerati i milioni di dollari che queste aziende guadagnano ogni anno dai cittadini del Missouri, le loro attività rientrano pienamente nella mia autorità di proteggere i consumatori da frodi e pubblicità ingannevole”.
Altro che i regolatori europei, la Commissione, il DSA, il DMA, l’AI Act e il GDPR, l’intero firmamento dell’AI è trascinato alla sbarra sulla base delle leggi di uno Stato americano e l’accusa è feroce: i signori degli algoritmi starebbero manipolando la realtà.
Certo la pietra dello scandalo e cioè l’ultima posizione nella quale gli algoritmi di alcuni dei destinatari delle lettere avrebbero relegato il Presidente Trump in fatto di antisemitismo fa un po’ sorridere, sembra un po’ partigiana, poco seria.
E, però, la questione esiste.
Ci informiamo e ci informeremo sempre di più attraverso i contenuti generati dalle fabbriche degli algoritmi e se non ci si può fidare – come non ci si può fidare anche perchè sono banalmente progettati e sviluppati per uno scopo diverso rispetto alla produzione di contenuti veritieri e affidabili – della bontà di quello che dicono, allora abbiamo un enorme problema.
E che se ne stia prendendo atto anche dall’altra parte dell’oceano è un fatto importante.
Nessun antagonismo tra Europa e Stati Uniti, dunque, certe preoccupazioni sono comuni e certi scenari vanno evidentemente governati.
Ora non resta che stare a vedere cosa risponderanno le big tech al procuratore generale del Missouri e cosa succederà dopo.
Ma certo la giustizia, la verità, la trasparenza che il Procuratore Generale dello Stato di Mark Twain pretende dai giganti degli algoritmi è la stessa che, da questa parte dell’oceano, si chiede a gran voce da anni.
Forse sarebbe il caso di unire le forze e provare a affrontare il problema una volte per tutte che l’ultimo in una classifica generata artificialmente si chiami Trump, Von Der Leyen o Papa Leone XIV.
Il punto è – o, almeno, dovrebbe essere – che a grandi poteri corrispondono grandi responsabilità e che quindi chi sa di essere o, almeno, essere destinato a diventare responsabile dell’informazione globale, non può, a costo di dover rinunciare a una valanga di soldi, permettersi il lusso di rischiare che questa informazione sia falsa, inattendibile, manipolata o manipolabile.
Buona giornata e, naturalmente, good morning privacy!