GOOD MORNING PRIVACY! | Niente visto di studio per gli USA a chi sui social ne ha parlato male

Speriamo che il caffè di questa mattina non mi costi il mio prossimo viaggio negli Stati Uniti ma la notizia va data e raccontata, credo. Niente visto di studio per entrare negli USA per gli studenti che sui social avessero criticato i valori americani.

“Non vogliamo persone nel nostro Paese che commettano crimini e minaccino la nostra sicurezza nazionale o la sicurezza pubblica. È così semplice, soprattutto le persone che sono qui come ospiti”.
A parlare Carlo Rubio Segretario di Stato alla Casa Bianca.
E che il principio sia semplice è innegabile.
E, probabilmente, l’obiettivo è anche condivisibile.
È un’ambizione non solo legittima ma dovremmo avere un po’ tutti.
La questione attorno alla quale interrogarsi è se il perseguimento di questo obiettivo giustifichi il mezzo che il Segretario di Stato americano ha appena ordinato alle ambasciate del suo Paese di adottare nel valutare le domande di visto, a cominciare da quelle degli studenti che ne chiedono uno per studiare nelle università USA.

Il sistema in questione è un’analisi sui profili social dei richiedenti il visto.
Niente autorizzazione allo sbarco negli States, tra l’altro, per chi avesse manifestato online “atteggiamenti ostili” nei confronti di “cittadini, cultura, governo, istituzioni o principi fondanti” americani.
Qui, forse, le valutazioni si dividono.
Per qualcuno, non ne dubito, sarà giusto così, forse persino naturale.
Per qualcun altro, me lo auguro, un po’ meno.
E a costo di vedermi rimettere su un aereo e rispedire in Italia quando, tra un paio di settimane, sbarcherò a Washington, confesso che io la vedo così.
Un’istruttoria per il rilascio di un visto, tanto più a degli studenti, non dovrebbe essere basata sull’analisi dei loro profili social.
È una questione già affrontata, anche nel nostro Paese – e così magari rischio di restare in volo tra gli USA e l’Italia per qualche mese rimbalzato da una parte e dall’altra dell’oceano – quando, qualche anno fa, si era ipotizzato di utilizzare le informazioni pubblicate sui social dagli italiani per accertamenti di carattere fiscale.
Più tasse a chi avesse pubblicato foto di viaggi in mete esotiche o si fosse presentato a bordo di auto di lusso, magari incompatibili con i redditi dichiarati.
Tutto molto semplice e lineare anche in quel caso.
E, però, il problema è che i social, spesso, non raccontano chi siamo davvero, cosa facciamo, cosa pensiamo o lo raccontano solo in parte.
La nostra identità personale rappresentata dai social non è detto corrisponda a quella reale.
Non è detto che noi si sia, chi si appare, chi si vuole apparire, chi gli altri ci fanno apparire.
Non è detto che gli algoritmi ci lascino presentare sino in fondo come vorremmo.
I like e le condivisioni hanno letture diverse, senza dire che gli stessi algoritmi spesso ci spingono a metterne più di quanti non ne metteremmo se riuscissimo a prenderci il tempo per pensare nonostante interfacce che ci suggeriscono di non pensare e interagire perché tanto conviene all’industria dei social e a quella della pubblicità.
Insomma noi non siamo quello che i social raccontano e giudicarci, a un fine qualsiasi, sulla base di quello che diciamo, scriviamo, condividiamo, raccontiamo di condividere online a me sembra molto pericoloso.
Sin qui senza dire perché dalle cose della privacy e della protezione dei dati personali si scivola in quelle della libertà di espressione che criticare un Governo, magari anche duramente, un aspetto della cultura di un Paese o prendere una posizione su una questione geopolitica diversa da quella di questo o quel Governo, francamente, non dovrebbe suggerire a nessuno di considerarci pericolosi e di bollarci come indesiderati, specie se stiamo chiedendo di studiare nel Paese nel quale la libertà di parola è nel primo emendamento.
Ma sono opinioni, solo opinioni.
Mi fermo qui perché il caffè rischia di diventare americano per lunghezza.
E anche quello, simbolo di una cultura diversa dal nostro ristrettissimo espresso, a qualcuno piace e a qualcuno non piace.
Buona giornata e, naturalmente, good morning privacy.