Ci sono giornate in cui qualcuno accende una luce di speranza in un mondo che sembra correre incoscientemente verso un destino già scritto che finge di non vedere.
L’annuncio dei Deerhoof della decisione di voler lasciare Spotify per una questione morale è una di queste luci.
La sigla vi dico la mia davanti al solito caffè.
“Non vogliamo che la nostra musica uccida la gente. Non vogliamo che il nostro successo sia legato alla tecnologia di combattimento basata sull’intelligenza artificiale”.
Sono le parole con le quali il gruppo musicale americano, peraltro nato e cresciuto a San Francisco nel cuore della Silicon Valley, ha annunciato al suo pubblico l’intenzione di lasciare Spotify dopo aver appreso la notizia dell’investimento milionario di Daniel Ek, CEO della piattaforma di musica più popolare del mondo, in Helsig, una società che produce droni militari e software di difesa basati sull’intelligenza artificiale.
Settecento milioni di dollari l’investimento all’origine della decisione.
Quando si dice che l’etica, forse, può guidare l’intelligenza artificiale in una direzione sostenibile si pensa a contesti e scenari diversi, si pensa a regole etiche capaci di autolimitare la progettazione e lo sviluppo di soluzioni di intelligenza artificiali.
Ma quella dei Deerhoof è una scelta individuale, per quel che se ne sa e che si può capire leggendo le loro dichiarazioni straordinariamente etica con la quale si prova, verosimilmente consapevoli che non si raggiungerà nessun risultato concreto, a manifestare dissenso rispetto alla decisione di un partner commerciale che non si considera eticamente e moralmente sostenibile ancorché giuridicamente legittima.
E non c’è dubbio che se centinaia di artisti del calibro dei Deerhoof e, auspicabilmente, senza nulla togliere al gruppo di San Francisco, più famosi, più popolari, più importanti nell’universo musicale annunciassero una decisione analoga, l’etica, quella dei singoli, diventerebbe uno straordinario strumento di orientamento del mercato e dell’industria dell’intelligenza artificiale perché il CEO di Spotify, si vedrebbe costretto a ritornare su suoi passi.
Ma, naturalmente, la questione non riguarda Spotify, né i Deerhoof, né, semplicemente, l’intelligenza artificiale applicata all’industria bellica.
La questione che, forse, vale questo caffè è più ampia.
Esiste un potere enormemente sottovalutato del mercato, un potere dal basso, un potere dei singoli utenti e consumatori di orientare l’industria in ogni settore, semplicemente attraverso la somma di un numero importante di scelte etiche individuali.
Pensiamo alle cose della privacy: un titolare del trattamento abusa dei dati personali dei propri utenti e, questi ultimi, tutti insieme o, almeno, in numero rilevante, decidono di lasciarlo, di sostituirlo con un altro fornitore di servizi più rispettoso del proprio diritto alla privacy.
Quanto ci vorrebbe perché nessun fornitore di servizi si permetta più il lusso di immolare il diritto alla privacy dei propri utenti sull’altare del mercato?
Io credo pochissimo.
Ma certamente molto meno di quanto ci vorrà – ammesso di riuscirci – a colpi di leggi, regolamenti, provvedimenti e sanzioni.
La scommessa che non possiamo perdere nella società degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale è questa: educare le persone alle tecnologie e al valore dei diritti perché in maniera etica e consapevole, possano inclinare il piano e convincere i giganti del mercato a cambiar strada, a rinunciare al principio secondo il quale il fine giustifica i mezzi, a avere più rispetto per i diritti, le libertà, la dignità delle persone.
Un sogno? Un’utopia romantica? Assolutamente possibile ma in un mondo nel quale tutto cambia in continuazione e alla velocità della luce, probabilmente, il confine tra i sogni e le utopie e la realtà è più sottile che in passato e tutto può accedere.
Buona giornata, ascoltate almeno una canzone dei Deerhoof – io l’ho appena fatto – e, naturalmente, good morning privacy!