“Rafforzare la leadership americana in materia di IA e, così facendo, sbloccare la crescita economica, consolidare la competitività americana e proteggere la nostra sicurezza nazionale”.
Sono questi gli obiettivi dichiarati della proposta che OpenAI ha appena inviato alla Casa Bianca in vista dell’adozione da parte dell’amministrazione americana del piano d’azione statunitense sull’intelligenza artificiale.
La proposta è semplice: meno regole, meno legacci, meno copyright e meno privacy se si vuole che l’intelligenza artificiale a stelle e strisce continui a volare e non si lasci superare da quella della Repubblica Popolare cinese
Se passasse la regola che inizia a affermarsi in alcuni Tribunali americani secondo la quale dare in pasto ai propri algoritmi per addestrarli tonnellate di opere protette da altrui diritti d’autore è vietato in assenza di un consenso dei titolari dei diritti, sarebbe la fine dell’intelligenza artificiale generativa americana.
Niente giri di parole, niente parafrasi, niente ingessature istituzionali.
Pochi concetti semplicissimi, anzi uno.
Se in Cina le fabbriche di intelligenza artificiale possono addestrare gli algoritmi senza chiedere permesso a nessuno su dati e contenuti ai quali le fabbriche americane non potranno accedere per ragioni di copyright e privacy, le prime avranno la meglio sulle seconde e, a quel punto, sicurezza nazionale, competitività e innovazione statunitensi traballeranno.
O almeno questo è quello che pensa Open AI.
All’amministrazione di Trump decidere che fare e scrivere il futuro.
Ma il messaggio è chiaro, così come la richiesta: smantellare senza perder tempo le leggi che in diversi Stati americani rallentano la corsa all’intelligenza artificiale e non cedere neppure per un istante alla tentazione di dar retta all’Europa e alle sue regole.
Se la proposta dovesse cadere nel vuoto e l’Amministrazione di Trump non dovesse accoglierla, il destino, secondo OpenAI, sarebbe segnato.
“I rapidi progressi osservati con DeepSeek della Repubblica Popolare Cinese, tra gli altri sviluppi recenti, dimostrano che la leadership degli Stati Uniti nell’intelligenza artificiale di frontiera è tutt’altro che garantita”, sostengono gli uomini di Sam Altman.
Difficile, a leggere la proposta, non considerarla un segnale preoccupante della stagione della vita del mondo che stiamo vivendo, una stagione nella quale tutto sembra drammaticamente destinato ad appiattirsi nella dimensione economica e competitiva e i diritti e le libertà, inclusi quelli fondamentali, così come le regole, continuano a essere additati come inutili zavorre, sacrificabili e, anzi, da sacrificare di corsa e senza esitazione.
Mala tempora currunt direbbero i latini.
E avrebbero ragione.
Anche perché l’innovazione in nome della quale si chiede di smantellare principi di diritto ultrasecolari è una cosa completamente diversa.
C’è innovazione diceva Henry Ford solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti.
Niente di più diverso e lontano da ciò a cui stiamo assistendo proprio a proposito dell’Intelligenza artificiale con i vantaggi economici e competitivi saldamente nelle mani di pochi che stanno rendendo semplicemente non più contendibili i mercati globali e quelli politici concentrati nelle mani di pochissimi, ovvero dei Governi più vicini ai pochi che dispongono delle tecnologie.
Tre minuti sono troppo pochi per affrontare una questione epocale come questa ma, forse, bastano a aprire un dialogo.
Parliamo certamente di come scrivere meglio le regole ma, per carità, non andiamo dietro a chi chiede di farne a meno.
Da questa corsa al ribasso dei diritti e delle libertà il mondo non ha niente da guadagnare.
Buona giornata e, naturalmente, good morning privacy!