Il principio è antico e sacrosanto: per conquistare una persona bisogna esser disponibili a metterci la faccia. La speciale declinazione del principio che Tinder, una delle app di incontri più popolari al mondo, ha appena scelto di utilizzare, qualche dubbio però lo solleva. Che siate utenti di Tinder – non lo confessa mai nessuno – o appassionati di privacy, subito dopo la sigla vi racconto iniziativa e dubbi.
L’idea di prender in prestito una manciata di foto del fotomodello o della fotomodella di turno per crearsi un’identità falsa su Tinder – così come sulle altre app di incontri – e gettarsi a capofitto nell’avventura della conquista senza metterci la faccia – intendo quella vera – è vecchia almeno quanto le app in questione.
E si tratta di un’autentica piaga.
Una piaga oggi aggravata dal fatto che accanto a utenti umani che scelgono di presentarsi con il volto di qualcun altro, Tinder e le altre app di incontri sono affollate da chatbot completamente artificiali che non solo si fingono chi non sono, ma si fingono umani senza esserlo.
Nessun dubbio che sia un problema che, peraltro, sta facendo crollare il valore delle piattaforme in questione e facendo precipitare il livello di fiducia degli utenti veri.
Perché, naturalmente, se cerchi l’anima gemella o, anche, semplicemente, la persona giusta per una serata speciale e prima di trovarla devi vedertela con un elenco impressionante di impostori umani e artificiali, dopo un po’ ti arrendi e torni – e non è detto che sia sbagliato ma è un’altra storia – a metodi tradizionali, tipo un giro in un bar.
Comprensibile, quindi, che Tinder e le altre, non da oggi, siano corse ai ripari, richiedendo agli utenti, a seconda dei casi, prove della loro identità a mezzo documenti o, almeno, prove di umanità, a colpi di selfie, videochiamate e affini.
Ora però, Tinder, almeno in California, pare intenzionata a fare di più, esigendo che i nuovi utenti ci mettano la faccia, quella vera, anzi, ancora di più, l’impronta biometrica della loro faccia da confrontare con quelle delle foto eventualmente caricate online per conquistare anime gemelle e affini.
L’idea è, insomma, quella di far scendere in campo, contro falsi e impostori umani e artificiali niente di meno che il riconoscimento facciale intelligente.
Tanta roba come oggi si usa dire.
Forse troppa considerato l’obiettivo perseguito ovvero garantire che chi si presenta con un certo volto per rimorchiare online sia umano e abbia effettivamente quel volto.
Certo, per carità, la sicurezza degli utenti è una cosa importante e, però, affidare a una società commerciale che, in fondo, ci offre semplicemente la possibilità di aiutarci a trovare una persona con la quale passare del tempo o, magari la vita, non è un gesto da prendere sotto gamba.
Ne vale la pena?
Difficile dirlo.
Ma vale, invece, certamente, la pena ricordare che i nostri dati biometrici sono unici e una volta che ne perdiamo il controllo è per sempre, diventano irrecuperabili e, con essi, la nostra identità per l’eternità.
Insomma, il rischio è che per evitare che un impostore vada alla ricerca di un’anima gemella fingendosi chi non è, si finisca con il rischiare che decine di milioni di utenti in carne ed ossa si ritrovino spossessati della loro vera identità, rappresentata dai loro dati biometrici.
Una posta in gioco decisamente alta.
La domanda è sempre la stessa: ne vale la pena?
Mentre ci pensiamo, buon caffè, buona giornata e good morning privacy!