Volete raccontare di esser andati ai tropici senza che lo abbiate fatto davvero o, magari, che avete scalato l’Everest, visitato una capitale europea o fatto il giro del mondo?
Niente di più facile.
Nell’era dell’intelligenza artificiale generativa e dei deepfake, volere e potere, senza limiti o quasi.
La sigla e poi vi racconto come fare, ma, soprattutto, mi chiedo e vi chiedo, come ci siamo arrivati qui? Come siamo arrivati a avvertire così forte il bisogno di contrabbandare per vera una vacanza che non abbiamo mai fatto.
Si chiama Endless summer, l’ha sviluppata e appena pubblicata sugli store di applicazioni di tutto il mondo, Laurent del Rey, uno sviluppatore del Meta’s Superintelligence Lab.
Ma è una sua iniziativa personale.
Funziona in modo semplicissimo.
Basta dare in pasto all’applicazione una o più vostre fotografie, scegliere dove andare in vacanza e tappare sullo schermo del vostro smartphone per chiedere all’app di generarvi una foto che vi ritrae nell’atteggiamento che preferite, su una spiaggia, una pista da sci, in cordata in montagna, su una nave da crociera o ovunque preferiate.
Ma se non volete neppure far lo sforzo di pensare a dove avreste voluto andare in vacanza ma non ci siete andati, c’è un servizio premium, che costa un po’ di più, quindi, e che ogni giorno vi manda direttamente sullo smartphone un paio di foto scattate – pardon artificialmente generate – nei luoghi più esotici e affascinanti del mondo.
Poi a voi scegliere cosa raccontare a amici e parenti condividendo le foto in questione, stampandole, inviandole a qualcuno in digitale o pubblicandole sui social.
Certo, niente che non si potesse fare già ieri, prima del lancio dell’app con un qualsiasi programma di editing di immagini più o meno intelligente.
E, però, con Endless Summer la novità è che l’app ha una sola funzione: generare foto di vacanze che non avete mai fatto infilandovici dentro.
Ed è proprio questo che fa sorgere – o, almeno, c’è da augurarsi faccia sorgere – una domanda importante: quando è successo che abbiamo iniziato a avvertire così forte l’esigenza di raccontare ciò che non è mai esistito?
E come è potuto accadere?
Che soddisfazione può dare a una persona pubblicare una foto artificialmente generata di una vacanza inventata di sana pianta?
Viene il sospetto che se, effettivamente, pubblicare una foto del genere è un’ambizione diffusa, allora, significa che, in tanti, apprezzano di più o di meno una persona, secondo, se, quanto spesso e dove va in vacanza.
Così tanto da indurre qualcuno a non poter fare a meno di usare un’app del genere per diventare protagonista di una storia immaginifica di una vacanza mai esistita.
Quando ci interroghiamo sull’impatto della tecnologia sulle persone e sulla società, probabilmente, dovremmo riflettere anche su fenomeni come questo.
Senza dire che, naturalmente, quello che sta per accadere e che il confine tra le vacanze vere e le vacanze false, almeno nella dimensione digitale, sta per essere completamente eroso.
Per fortuna che, almeno per un po’, c’è da augurarsi che quelle vere continuino a regalare esperienze, emozioni e sensazioni, non riproducibili in laboratorio.
Inutile dire – anche se è la ragione per la quale ne parlo qui – che per riuscire nell’intento bisogna affidare al fornitore del servizio una montagna di nostri dati biometrici, tutti quelli necessari a consentire il miracolo fotografico o, forse, meglio l’illusione vacanziera.
Uno scambio che rende ancora più inspiegabile il ricorso a un servizio del genere.
Non so se sia un caffè da ridere o da piangere quello di oggi ma non correrei e, personalmente, non correrò a scaricare l’app.
Buona giornata e, naturalmente, good morning privacy!